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giovedì 21 novembre 2024

LONGLEGS - LA CONSACRAZIONE DI OZ PERKINS

 La famiglia Perkins nel campo artistico ci ha sempre saputo fare, prima con nonno Osgoord, poi con suo figlio Anthony (il grande Norman Bates di Psycho) e ora, a sua volta,  con Osgoord nipote, accorciato in “Oz” per amici e cinefili. Anche suo fratello Elvis, musicista, lavora ai suoi film, curandone la colonna sonora.

Oz, giunto al suo quarto lungometraggio, realizza un angoscioso horror mascherato, dalle premesse, da thriller poliziesco sovrannaturale, una sorta di miscuglio tra True Detective, Seven e Il silenzio degli innocenti … ma solo nelle premesse, sia chiaro! La storia parla della detective Lee Harker, semi-sensitiva alle prime armi, che la vede impegnata in un caso misterioso dell’FBI, sulle tracce di un misterioso serial killer, che si firma con il nome “Longlegs”, e che terrorizza intere famiglie, le quali si sterminano apparentemente senza motivo, senza che lui faccia nulla, visto che non è presente sul posto nel tragico momento. Come fa questo assassino a uccidere “a distanza”? Già dopo i primi minuti, l’atmosfera si fa a poco a poco angosciante e si percepisce benissimo come l’horror sia il vero genere dominante di questa pellicola. 

Basterebbe la prima scena per far capire la grandezza raggiunta da Perkins nel corso degli anni, anche solo per comprendere quanto sia abile nel suo mestiere. Il film si apre con un POV, un point of view, all’interno di una vettura. La soggettiva non è del guidatore, bensì di una seconda persona seduta sui sedili posteriori. Un sottile velo nero ci oscura leggermente la visuale. Soltanto ad un certo punto del film scopriremo, a conti fatti, che quel POV non era di un essere umano … ma di una bambola! 

Un piccolo colpo di genio (ce ne sono molti di questo tipo all’interno del film) che dimostra come Oz Perkins deve essere considerato parte del club della recente new wave dell’horror insieme ai più noti Robert Eggers, Ari Aster e Jordan Peele. Altro colpo di genio è il passare da un formato 1,33:1, con angoli smussati, per poi allungarsi piano piano ad uno più classico come il 2,39:1. Il primo formato è perfetto per rendere l’atmosfera retrò, di cui il film è pregno (non a caso Longlegs ascolta rigorosamente musica anni ‘70, con i T.Rex che svettano a sorpresa su tutto il resto!) 

Longlegs - il film - ci parla di come il male viva costantemente vicino a noi, andando a ricordare di come il Maestro Tobe Hooper ci diceva di non aprire quella porta, ovvero quel varco sottilissimo tra pazzia omicida e razionalità umana. 

Un’opera matura, concisa, che arriva dritta al punto, che riesce ad intrattenere e ad inquietare allo stesso tempo. Il titolo del film, difficile da rendere in italiano, fa probabilmente rifermento a Papà Gambalunga, il protagonista della celebre storia dove un ricco filantropo offriva la possibilità ad una giovane orfana di studiare in una università, per poi finire con lo sposarla; oppure, potrebbe riferirsi al fatto che Longlegs, un adulto, debba accovacciarsi per parlare faccia a faccia con i bambini, dicendo loro:  <<sembra che ho indossato le mie gambe lunghe, oggi>>. 

Gli attori del film, poi, aggiungono quel tocco in più, capeggiati in primis da un’ottima Maika Monroe, che interpreta la nostra stramba e acerba protagonista, guidata in primis dal suo sesto senso e dal suo misterioso legame con l’assassino; Nicolas Cage, al suo primo e - a quanto dichiarato - ultimo ruolo da serial killer, è sì notevolmente trasformato dal trucco, come avvolto da strati di cera, come se indossasse una maschera infernale, ma la sua breve performance, coerentemente sopra le righe (degna del personaggio Nick Cage creato in questi ultimi anni), è già divenuta cult, un po’ come la breve performance di Sir Anthony Hopkins nei panni di Hannibal Lecter. Il personaggio di Longlegs è molto più complesso di quello che sembra - Longlegs non è altro che un ingranaggio del sistema satanico-infernale, e parla spesso dell’<<amico del-piano-di-sotto>>. A chi si starà riferendo? A voi scoprirlo. 

Longlegs vive della pazzia interpretativa del suo attore, spesso lasciato a briglia sciolta e capace di recitare scene improvvisate, come quelle in macchina. Il personaggio e l’attore si fondono in un tutt’uno, in questo caso. Un plauso anche a Alicia Witt, che interpreta l’inquietante madre della protagonista. Blaire Underwood, che interpreta il capo della nostra, è capace di dare al suo personaggio un pizzico di ironia, in un film circondato da atmosfere cupe. 

Soltanto il finale del film può essere considerato “telefonato”, ma gli eventi mostrati erano l’unico modo di sbrogliare ogni aspetto della sceneggiatura e di chiudere ogni sotto trama. In poche parole, Perkins non aveva scelta. 

È un po’ come mettere l’ultimo tassello di un puzzle al posto giusto: sai cosa accadrà, ma sei comunque soddisfatto per il lavoro finito. 

Ora non resta che aspettare il 2025, quando uscirà il quinto lungometraggio di Oz Perkins, “La Scimmia”, tratto dall’omonimo racconto del maestro del brivido Stephen King. 



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