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venerdì 14 febbraio 2025

M. Il Figlio del Secolo - una Serie Tv Capolavoro?

 “(…) Mi avete amato follemente; per vent’anni mi avete adorato, temuto, come una divinità….e poi m’avete odiato, follemente odiato, perché m’amavate ancora. Mi avete ridicolizzato, scempiato i miei resti perché di quel folle amore avevate paura, anche da morto. Ma ditemi, a cosa è servito? Guardatevi attorno, siamo ancora tra voi.” 

La voce del Duce fuori campo, contrapposta a violente e rapide immagini di repertorio restaurate, riecheggia nelle nostre teste come se ci parlasse dall’oltretomba, come se il suo spirito fosse ancora nel mondo dei vivi, inaugurando in questo modo la serie tv tratta dal best seller di Mario Scurati, “M. Il figlio del secolo”; un libro capace non solo di esser letto da mezza Italia, nel 2018 e negli anni successivi, ma anche di vincere il Premio Strega. Per un libro storico camuffato da romanzo, un risultato molto importante…

Il primo tomo, capostipite di una fortunata saga (che ora a breve vedrà alla luce il quinto e ultimo capitolo), si occupa di un periodo che va dal 23 marzo 1919, data della creazione dei Fasci di Combattimento, al 3 gennaio 1925, data del celebre discorso “difensivo” di Mussolini in parlamento, ovvero l’evento simbolo che consacrò una volta per tutte il ventennio successivo. 

***

M-il Figlio del Secolo è il perfetto prodotto d’intrattenimento. Non esagero. Tutto è studiato fino al più piccolo dettaglio per farsi piacere, se non addirittura amare, dal pubblico più vario e più vasto possibile perché ha al suo interno una narrazione dinamica e coinvolgente, un attore protagonista in voga che da sempre il meglio di sé e un argomento che, per forza di cose, è (almeno nel nostro paese) morbosamente affascinante. Ecco perché una puntata tira l’altra, come un buon grappolo d’uva (anche facilitati da una durata di un’ora scarsa ad episodio). 

La serie, inoltre, farà la felicità degli studenti liceali per il suo essere così tanto “scolastica”, nel senso che tutto viene spiegato (con dei veri e propri brevi e scattanti riassunti storici), ogni personaggio viene introdotto biograficamente e ogni evento è ben contestualizzato. Se si è uno studente alle prime armi, bene, ma per me che ho sempre amato la storia del Novecento ecco che ho trovato tutto ciò un po’ ridondante e superfluo. 

Il Mussolini messo in scena è un personaggio che, ogni tre per due, sfonda la quarta parete (molto più di un Jordan Belfort in “The Wolf Of Wall Street”); e lo fa o per parlare agli spettatori, oppure per fare delle faccette rivolte in macchina, come quando reagisce a ciò che gli viene detto, bloccando temporalmente quasi la narrazione; fa il dito medio, tira occhiatacce, dice parolacce: è un Duce fortemente (post) moderno, capace di creare sicura presa sullo spettatore. Non si fa amare, ma cattura l’attenzione. Questo aspetto, però, è sempre delicato perché rischia di creare fascinazione su personaggi storici controversi o negativi, come in questo caso. Bisogna essere parecchio bravi a bilanciare il tutto. 

Ma dalle ultime due/tre puntate questo aspetto viene bruscamente ridimensionato perché, dopo prime puntate anche con inaspettati tocchi di black humor, si passa a dei toni più tetri e drammatici mano a mano che la situazione in Italia, dal punto di vista storico, si fa sempre più delicata, fino a culminare con il caso Matteotti. L’ultima puntata, l’ottava, sfocia proprio nell’horror gotico, mi vien quasi da dire, poiché un paranoico Mussolini verrà visitato più volte dallo spettro della vedova Velia Titta, moglie dell’Onorevole parlamentare scomparso. 

Le scenografie sono il vero punto di forza, secondo me, per il loro essere quasi espressioniste, teatrali, piene di impalcature ovunque (si rifanno al cinema espressionista tedesco, vedi “Il Gabinetto del Dottor Caligari”). 

La fotografia va a ruota, con tagli di luce impressionanti e colori bui, tetri, conformi al periodo trattato. 

Marinelli è stato mostruosamente perfetto ad interpretare un personaggio storico così difficile da rendere sullo schermo senza cadere nel macchiettistico. Per di più il suo personaggio compare al 99% delle scene, per otto ore circa, dunque non era facile essere così credibile per tutto il tempo con una costanza stakanovista. Il suo Mussolini è buffo, furbo, calcolatore, opportunista (prima fa la guerra alla borghesia, poi ci si allea); bluffa sempre, mente, è animalesco con le donne. Marinelli, inoltre, bravissimo nell’imparare gli accenti italiani, riesce a parlare romagnolo in modo credibile, almeno per quanto mi riguarda. Eccetto quando ride e torna ad essere il classico Marinelli, col suo ghigno e il sorriso alla Stregatto, a tutto denti. La somiglianza, comunque, spesso è inquietante, con le sue calvizie e gli occhioni completamente neri. Il suo non è un Mussolini patetico o volutamente ridicolo, ma teatrale per il suo modo di porsi, una consuetudine per le persone di quegli anni, che usavano parole e modi di fare che oggi sembrano buffi e inusuali. Tra l’altro, apro questa piccola parentesi, questo libro era stato già trasposto proprio a teatro (poi mandato in onda dalla Rai), con l’esperto Massimo Popolizio a interpretare il capo dello Stato. Questo a testimonianza di quanto la storia sia facilmente adattabile anche per il teatro. 

Mi ha fatto un po’ ridere, ma in senso buono, che ogni puntata si avvalga di una sorta di “Guest Star” storica: nella prima è senza ombra di dubbio D’Annunzio, che sbarca a Fiume; nella seconda è Marinetti, il poeta futurista, mentre nella terza abbiamo la comparsa del controverso aviatore Italo Balbo e un primo accenno di Matteotti. Nella quinta c’è Don Luigi Sturzo, lasciato solo dalla sua Chiesa. Poi arriva il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, <<il Nano>>. 

Il coprotagonista, invece, è a sorpresa tal Cesare <<Cesarino>> Rossi, nome poco conosciuto ai più, quando è stato un fascista della prima ora, storico collaboratore di Mussolini per il loro celebre quotidiano, Il Popolo d’Italia. Bellissimo, nella serie, vedere il passaggio della redazione da una sede più umile a quella sfarzosa, dopo il successo del Partito. È lui l’unico fascista, in questa serie, verso il quale lo spettatore prova simpatia: viene descritto come un ometto buffo, dal divertente e marcato accento toscano, dallo sguardo compassionevole verso le vittime (femminili) del Duce. Eppure, nella realtà dei fatti, era un fascista come tutti gli altri, dedito all’esaltazione della violenza, creatore della “Ceka nera”, la polizia segreta fascista, di sicuro vittima della stessa macchina nella quale era coinvolto, poiché alla fine è stato preso come capro espiatorio per il delitto Matteotti, finendo confinato a Ponza, mentre dopo la guerra, assolto dalle accuse legate all’affaire Matteotti, finì per scrivere per il giornale democristiano di Giulio Andreotti. 

Questo personaggio, seppur gradevole e ben interpretato dal buon Francesco Russo, risulta anche forzato perché troppo “buono”, dandomi la sensazione come se avessero dovuto mettere per forza qualcuno meno violento e simpatico per bilanciare il tutto. 

Passiamo ora al reparto tecnico: montaggio interessante, dinamico, che passa anche da scene a colori a quelle in bianco e nero, simili ai cinegiornali dell’epoca, con un B/N grezzo, sporco, d’annata. Ovviamente nulla di rivoluzionario, ma apprezzabile la scelta, dedicata anche per i meno avvezzi a un certo tipo di sperimentazione visiva.

Mentre le scene in bianco e nero sovrapposte a Mussolini che parla in primo piano e con le immagini in B/N alle spalle, non sono per nulla originali…lo faceva già Oliver Stone negli anni ‘90 con “Assassini Nati”! 

La regia di Joe Wright è fin troppo perfetta nella scelta simmetrica delle inquadrature, nelle numerosi sghembature e nei virtuosi movimenti di macchina, e rimane davvero difficile da criticare. 

Una colonna sonora moderna, ritmata, dai toni synth poteva stridere con gli anni ‘20 narrati, ma invece si plasma perfettamente con ciò che viene mostrato, rendendo piene di suspense o d’adrenalina anche semplici 

scene di dialogo o introspezione. 

Dopo aver visto la prima puntata avevo paura che la violenza fosse ridotta, perché nel primo episodio c’è ma è quasi sempre nascosta, nell’ombra, mentre mi sono ricreduto (per fortuna) dal secondo episodio in poi, quando ci sarà una scena di una violenza brutale, meravigliosa, con un montaggio alternato degli infami delitti delle “Squadracce” e di un primo piano del poeta Marinetti mentre decanta una sua classica poesia futurista. La scena migliore di tutta la serie, senza ombra di dubbio. È vero anche che la violenza fisica ha il suo apice nella seconda puntata, per poi passare a una maggiore violenza psicologica, fino ad un’altra esplosione di sangue legata all’omicidio del povero Matteotti. 

Nella quarta puntata, però, sono presenti le due scene più brutte non solo di questa serie ma forse tra le più brutte mai viste in una serie da molto tempo a questa parte, come quella della frase in inglese pronunciata dal Duce (non la scriverò per non rovinare la sorpresa, perché è davvero inaspettata, dovete credermi), davvero una scelta a dir poco squallida e poi, pochi minuti dopo, la classica battuta sui treni italiani che si potevano anche risparmiare. Comunque, due esempi esplicativi del perché questa serie sia stata così amata dalla maggior parte degli italiani medi. 

Nella sesta, invece, ci sono due battute che riprendono da diversi film cult: la prima viene pronunciata da Balbo, riprendendo un classico insulto del sergente Hartman in “Full Metal Jacket”; la seconda, detta da Cesarino, omaggia il Padrino e la sua celebre “offerta”. Entrambe le ho trovate un po’ fuori luogo e forzate. 

Infine, ecco i miei alle singole puntate: 

1a = 6,5/10 

2a = 8/10 

3a = 6/10 

4a = 5,5/10 

5a = 6,5/10

6a = 7/10 

7a = 7,5/10 

8a = 8/10

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