0.1 Il film parte subito in quarta, spiazza lo spettatore, mostrando da una parte le azioni del gruppo rivoluzionario “French 75” di chiara estrazione marxista-leninista (uno di quei gruppi che un qualsiasi Stato bollerebbe come <<Organizzazione Terroristica>>), dall’altra la travolgente storia d’amore tra due membri dell’organizzazione, Ghetto Pat (Leonardo DiCaprio) e Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor). I due avranno una figlia, Willa (Chase Infiniti), ma Perfidia presto si sentirà inadatta al ruolo della madre e deciderà di scappare via, per di più tradendo i suoi vecchi compagni, dopo essere stata braccata dal folle colonnello Steven J. Lockjaw (Sean Penn). Ghetto Pat, ora ribattezzato Bob, che nel frattempo si è rifatto una vita in incognito, sedici anni dopo gli eventi iniziali è un boomer depresso, che soffre di attacchi di panico e che beve alcool e fuma erba, preoccupato soltanto dei primi problemi adolescenziali della figlia. Il vecchio colonnello, però, è ancora sulle loro tracce, avendo un conto in sospeso con quella famiglia, e arriva a rapire Willa. Da quel punto in poi parte la ricerca disperata di Bob per poter riabbracciare la sua unica ragione di vita, sua figlia. La parte centrale del film, la più riuscita, ha un ritmo serrato, non ti fa respirare, fa diventare il film un action movie adrenalinico. Nonostante la situazione drammatica, il regista alleggerisce il tutto scrivendo siparietti comici davvero esilaranti, conditi da un black humor efficace e battute davvero memorabili (<<Che ore sono?>>, <<Pensa al mare>>, <<Devo caricare il cellulare!>>). Non scherzo se affermo che questa parte centrale mi ha ricordato il film d’animazione “Alla ricerca di Nemo”, ovvero un padre insicuro alla disperata ricerca del figlio in mare aperto, senza molti appigli. Ma è tutto il resto, quello che sta intorno e che adesso proverò ad analizzare, che caratterizza e differenzia questo lavoro da questo classico tipo di storie.
0.2 “Una battaglia dopo l’altra” è il film più politico e
socialmente impegnato di Paul Thomas Anderson, il quale non si tira indietro mettendo
in scena degli Stati Uniti d’America violenti, razzisti, controllati da un
altrettanto violento Stato di Polizia. È anche uno dei film più complessi del
regista, che in due ore e quaranta minuti mette su sicuramente tanta carne al
fuoco e, per questo, il suo decimo lungometraggio merita fin da subito più di
una visione, anche perché allo spettatore, all’inizio, serve un po’ di tempo
per entrare all’interno della vicenda e per districarsi col linguaggio in
codice usato dai Rivoluzionari. Il più grande atto d’accusa di questo film,
però, secondo me, è quello contro le politiche anti-immigrazioni statunitensi
(in particolare quelle coi vicini messicani, emblematica infatti la scena
d’apertura coi migranti salvati): ci tengo a ricordare che il paese in
questione, che si fa portavoce della Democrazia mondiale, prende a frustate gli
immigrati messicani al confine, per mezzo di poliziotti a cavallo muniti di
fruste, in scene degne del peggior Far West; ancora, il muro anti-migranti al
confine con il Messico è ormai realtà, alla faccia di quello di Berlino!
Dunque, PTA si schiera apertamente contro questo tipo di politica isolazionista
e paranoica, anche perché la forza degli Stati Uniti – mi vien da dire proprio
in ambito culturale o sportivo – è la sua unione di culture e razze diverse.
0.3 Il livello di messa in scena portato da Paul Thomas
Anderson è Totale (ci tengo a scriverlo con la maiuscola), districandosi in
primissimi piani, macchina in movimento nelle scene action, campi larghi, POV di
auto in movimento per lunghissime strade prima in salita e poi in discesa o piani
sequenza di personaggi ripresi di spalle. I luoghi scelti, soprattutto quelli
della seconda parte, vasti e visivamente impressionanti, sono un grande omaggio
ai film western e ai road movie. Non sembrano passati quattro anni dal
precedente “Licorice Pizza”, ma un solo giorno. Anzi, il nostro sembra
rinvigorito, un ragazzino che scopre il cinema per la prima volta (se non fosse
per la maturità tecnica) e che si diverte a sperimentare più tecniche di
ripresa. In definitiva, PTA dirige come uno Stanley Kubrick dei giorni nostri,
confermandosi il più grande regista occidentale vivente.
0.4 Una menzione d’onore obbligatoria deve essere rivolta
alla colonna sonora di Jonny Greenwood, giunto alla sesta collaborazione col
regista; credetemi quando affermo che quella che ascolterete si tratta di una
delle migliori recenti composizioni per un film, capace di tenerti in tensione
come una corda di violino più delle immagini stesse anche solo a un dissonante
tasto del pianoforte. Anche le canzoni non originali sono coerenti con il
momento raccontato nella scena e inserite perfettamente, iniziando con gli
Steely Dan, passando per i Fugees ed Ella Fitzgerald e chiudendo il cerchio col
compianto Tom Petty e i suoi Heartbreakers.
0.5 Un capitolo importante di questa mia piccola analisi deve
essere dedicato alla performance degli attori. Raramente si riesce ad assistere
a un tale livello performativo in un unico film. Leo DiCaprio è semplicemente
esilarante nel ruolo di questo paranoico papà ex-rivoluzionario. Bravissimo nel
cambiare aspetto e interpretazione dalla parte introduttiva alla seconda parte.
Forte dei 25 milioni di dollari percepiti (a fronte di un clamoroso budget di
130 milioni, il più alto di sempre per il nostro regista) l’attore da anima e
corpo a far vivere il suo personaggio e a caratterizzarlo con mille diverse sfaccettature;
Sean Penn, nel ruolo dell’antagonista, se possibile, ruba addirittura la scena
a tutti gli altri, recitando in maniera credibile sostanzialmente il ruolo di
un pazzo squilibrato, infarcendo la caratterizzazione del suo colonnello con numerosi
tic e scatti d’ira davvero impressionanti. Con il tempo, non ho dubbi che lo
ricorderemo come il ruolo della vita per il buon Penn. Un divertente e
divertito Benicio del Toro, inoltre, interpreta il Sensei messicano, maestro di
Karate di Willa e Deus Ex Machina per Bob. Anche se il suo minutaggio è ridotto
rispetto a quello degli altri, il suo personaggio zen ti entra dentro, arrivando
a diventare – ne sono sicuro - il tuo personaggio preferito. Anche le donne,
però, reggono il gioco alla pari: una sconosciuta ed esordiente Chase Infiniti,
venticinquenne, è perfetta nell’interpretare una ragazzina in crescita,
risoluta e combattiva come la madre, facendoti credere che non si tratta del
esordio sul grande schermo. La cantante Teyana Taylor domina la parte
introduttiva della storia, interpretando una donna guerrigliera e seducente,
che farà perdere la testa a più di un uomo.
0.6 Anderson si conferma come l’unico regista capace di
mettere in scena le follie visionarie dello scrittore di culto Thomas Pynchon,
uno dei più grande geni della letteratura a stelle e strisce del Novecento. Già
c’era riuscito nel 2014, adattando in maniera abbastanza fedele il romanzo noir
“Vizio di forma” in un ottimo film con Joaquin Phoenix. In questo caso prende
solo spunto da “Vineland” (1990), trasportandolo ai giorni nostri e adattandolo
alle esigenze del nostro mondo. Pynchon, per chi non lo sapesse, è forse il più
grande esponente del postmodernismo (insieme forse al solo DeLillo), una
corrente letteraria del secondo Novecento tra le più apprezzate, che si basa su
una forte esagerazione dei personaggi, su dettagli grotteschi, su una scrittura
delirante e cervellotica col fine di andare a criticare in maniera oserei dire
satirica la società capitalista. Infatti, in questo film troverete tantissimi
elementi grotteschi o esagerati: ci sono suore che sparano coi mitra, rivoluzionari
con lo skate, sette ariane ...
0.7 Un grande regista è capace di inserire i suoi omaggi, i
suoi riferimenti cinefili, senza scadere nel ridicolo o nel plagio … un buon
cinefilo, d’altro canto, ha il compito di scovarli, aiutando il prossimo a
riconoscerli. Nel mio piccolo, ci ho provato anch’io ed ecco cosa ho scovato. Le
nostre eroine che sparano con il mitra, oltre a citare verbalmente il
personaggio Tony Montana di “Scarface”, sono similari a una scena del
capolavoro “Sonatine” di Takeshi Kitano, dove una protagonista spara con la
medesima arma. Il personaggio di DiCaprio è intento a guardare, sul divano di
casa sua, il film italiano “La Battaglia di Algeri”, dedicato alla guerra
partigiana algerina contro gli imperialisti francesi. La scena
dell’inseguimento su e giù per la lunga strada fatta di salite e discese,
costruita magistralmente con un assordante silenzio e più simile a una esperienza
su una montagna russa, mi ha ricordato gli inseguimenti nelle lunghe strade
deserte di Mad Max. Più in particolare, però, possiamo fare un parallelismo
d’immagine con una scena di “Reichsautobahn”, un film documentario di Hartmut
Bitomsky sulle strade della Germania Nazista dove ce n’era una molto simile a questa.
I geometrici piano sequenza dei soldati ripresi di spalle nel campo militare
non possono non ricordare le immagini di “Full Metal Jacket” di Stanley
Kubrick. La questione dei messicani nascosti rimanda al film “Bread and Roses”,
anche se narrato con stile e modi differenti e diretto da Ken Loach. La
medaglia al merito conferita al colonnello per aver sconfitto il “French 75” è fittizia,
anche se è dedicata a un personaggio realmente esistito, ovvero Nathan Bedford
Forrest, già generale dei Confederati durante la Guerra Civile e, in seguito, primo
Grande Stregone del Ku Klux Klan. Nella vita reale, dunque, non esiste nessuna
medaglia dedicata a questo controverso personaggio storico; tuttavia, la
medaglia più importante che il Klan poteva conferire ritraeva proprio il volto
di Forrest! Inoltre, la questione “sette” è estremamente importante nel film poiché
il gruppo ariano de “I Pionieri del Natale” gioca un ruolo chiave all’interno
della vicenda, riducendo il ruolo del colonnello a quello di mera marionetta
nelle loro mani, facendo intuire come anche il più spietato uomo può essere
manovrato da un potere superiore.
0.8 In conclusione, PTA mette in scena il suo paese in chiave
distopica e utopica al medesimo tempo; distopica perché lo rappresenta come uno
stato per e di suprematisti bianchi, con repressioni continue da parte della
polizia, dell’FBI. Però, c’è anche una nota positiva: i giovani. Sono i più
giovani, secondo il regista, coloro che dovranno farsi carico del futuro e
risollevare le sorti di un Paese intero, con le loro lotte, i loro sogni e le
loro proteste, ereditate dai vecchi combattenti che hanno fallito la loro lotta.
E lo dovranno fare attraverso una Rivoluzione dopo l’altra.