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sabato 18 gennaio 2020

RICHARD JEWELL - RECENSIONE DEL NUOVO FILM DI CLINT EASTWOOD

Richard Jewell è obeso.
Richard Jewell vive ancora con sua madre.
Richard Jewell è un Perdente.
E' così che si apre il nuovo film di Clint Eastwood, presentandoci la situazione del povero Richard, un ragazzo che, sul finire degli anni '80, ambisce a diventare un poliziotto perché <<ama proteggere la gente>>. Ma in quel periodo della sua vita, egli è ancora un umile uomo delle pulizie in uno studio di avvocati. Ma è lì che si presenta la prima svolta, ancora "invisibile", della sua vita, perché conosce un avvocato, Watson Bryant, interpretato dal grande Sam Rockwell, un avvocato alle prime armi, che lo prende subito in simpatia.

Poi, un balzo temporale - eccoci catapultati nel 1996, l'anno delle Olimpiadi ad Atlanta, la città del nostro protagonista. Richard fa ora parte del personale della security per i concerti nel parco più importante della città. Un lavoro noioso, anche se egli è l'addetto più premuroso, ma anche quello più paranoico. Una sera, però, Richard trova uno zaino sospetto sotto una panchina. Nello stesso momento, una chiamata anonima annuncia che c'è una bomba nel parco e che rimangono trenta minuti prima dell'esplosione. Richard s'incarica così di avvertire più persone possibili e di creare un perimetro di sicurezza. La bomba esplode. La vita di Richard Jewell cambia per sempre.

Richard, il giorno seguente, è subito un eroe. Ha offerte per scrivere libri, tutti lo vogliono intervistare: ha scoperto lui la bomba, dopo tutto. E' diventato l'uomo più famoso d'America nel giro di qualche ora. Poi, passa qualche giorno, e tutto cambia nuovamente. L'FBI sospetta di lui. Perché no, dopotutto? Richard da sempre desidera fare carriera, ma è stato sempre escluso, ha una situazione particolare - vive ancora con la madre - è un Perdente, insomma, e ha anche dei precedenti. Il paese intero, così, lo tradisce, improvvisamente. Tutti vogliono un colpevole e, in assenza di idee, perché non incolparlo? Tutti lo vogliono vedere sulla forca - tutti, tranne sua madre, interpretata dalla grande Kathy Bates, candidata all'Oscar per questa straziante performance, e l'avvocato che Richard ha conosciuto qualche anno prima, disposto ad aiutarlo perché crede nella sua innocenza.
Con questo film biografico, ispirato alla vera storia di Richard Jewell, Clint Eastwood, arrivato alla veneranda età di ottantanove anni, ci fa commuovere e riflettere al medesimo tempo - da una parte c'è la sofferenza di una famiglia, e dall'altra la curiosità di capire come Richard, da eroe, venga additato, subito dopo, traditore della patria in assenza di sospettati; sicuramente, il buon Clint ci fa simpatizzare con il protagonista fin dalla prima scena - ci sembra di conoscere Richard da una vita. Il celebre regista americano fa del patriottismo una delle fondamenta del lungometraggio, anche se non manca una forte critica ai media e agli agenti di polizia più potenti che, in mancanza di sospettati, non ci pensano due volte a crocifiggere un eroe.

Ne esce fuori un film grandioso, che riesce ad essere teso e divertente - Sam Rockwell è bravissimo a sdrammatizzare in alcuni momenti - che sembra girato da un ragazzino per la freschezza e la precisione delle inquadrature e dei movimenti della cinepresa. Un'opera, questa, da vedere al cinema, anche solo per la scena della bomba: sembra di assistere ad un thriller! Eastwood nei suoi film è sempre stato impeccabile nel creare tanta tensione, mi vengono in mente gli esempi di "Potere assoluto" o "Gran Torino" e "Mystic River", e anche in questo caso non è da meno.

Il casting, inoltre, è stato impeccabile: l'attore protagonista, Paul Walter Hauser, avrebbe meritato almeno una candidatura per i prossimi - e ormai imminenti - Premi Oscar; Sam Rockwell, nei panni dell'avvocato di Richard, ci dimostra ancora una volta la sua versatilità cinematografica; la Bates, come già ho scritto, era davvero in parte; da citare, infine, una brava Olivia Wilde, che interpreta un personaggio leggermente sopra le righe, ovvero una giornalista della città che non ci pensa due volte ad infamare Richard e a fomentare l'odio del paese intero. Tutto il cast, dunque, è in forma smagliante, diretto - bisogna dirlo - da un Maestro della settima arte - e il cast riesce, in questo modo, a sostituire Hauser quando egli non è presente nel corso della storia.

Una pellicola da recuperare a tutti i costi, uno di quei film che non escono tutti i giorni: una vera perla rara, di questi tempi. L'unico rimpianto è di vederlo ampiamente snobbato dalla critica, specialmente dall'Academy (Premio Oscar). E, anche in questo caso, il potere dei media ci fa riflettere.

giovedì 2 gennaio 2020

RECENSIONE: THE LIGHTHOUSE

"Se la pallida morte col suo acuto terrore, dovesse far dei marosi le nostre dimore, Signore, che ascolti il crepitio delle onde, concedi la salvezza alle anime moribonde" Thomas Wake, interpretato da Willem Dafoe.

Robert Eggers, cineasta classe 1983, mi aveva stregato - termine più che opportuno - con il suo primo lungometraggio, "The VVitch", un film horror che raccontava la storia di una giovane strega, dove il folklore si univa a una perfezione tecnica senza precedenti nel cinema horror contemporaneo; oggi, dunque, posso affermare che il regista americano ha addirittura fatto un passo avanti con il suo secondo film, "The Lighthouse".
Esso racconta la storia di un guardiano del faro in una piccola isola e del suo nuovo (ma temporaneo) tutto fare, che aspira tuttavia a diventare un guardiano del faro anch'egli. Che cosa rende speciale il film, allora?

Innanzitutto, le interpretazioni monumentali di Willem Dafoe e Robert Pattinson - il primo, da esperto e longevo attore, sa come regalare al pubblico un'altra grandiosa interpretazione, notevolmente superiore a quella ottima nel biopic su Van Gogh, dove interpretava alla grande proprio il pittore stesso. Qui s'immedesima nei panni del guardiano del faro ed ex marinaio, cambiando il suo accento e recitando con una dizione dell'inglese perfetta; il secondo, Robert Pattinson, è qui nel ruolo della sua consacrazione: un'interpretazione silenziosa nelle prime scene, fino alla sua "esplosione" da metà film in avanti. Ora finiamola di ricordare Pattinson soltanto come il protagonista di "Twilight", grazie.
E' un film, questo, dalla messa in scena fortemente teatrale: due attori per tutto il corso
della pellicola, una solida sceneggiatura e un'ambientazione perfetta e ben descritta. Una storia che potremmo vedere rappresentata nei teatri, in futuro, insomma. Ma Eggers con la sua macchina da presa dà quel tocco in più, ha quell'estro necessario per rendere la storia in questione unica esclusivamente sul grande schermo. Dal punto di vista tecnico, egli si conferma come uno dei migliori registi in circolazione: è appena al suo secondo lungometraggio ma già ricorda - e non ha nulla da invidiare - Maestri come Kubrick, Bergman, Tarr e Dreyer, scusate se è poco!
Anche se complesso, più la vicenda narrata nel film si sviluppa e più un senso lo spettatore riesce a coglierlo; ma non è questo un film semplice ed immediato, anzi è un prodotto che ama giocare con lo spettatore, tende perfino ad infastidirlo, lo ubriaca - come i due personaggi del film, mano a mano dediti all'alcol per colpa di una tempesta che li isola definitivamente dal resto del mondo - fino a confonderlo e a fargli vivere un vero e proprio trip horror! The Lighthouse ha al suo interno varie chiavi di lettura, spirituali e non, dantesche e non, ma è certo che i simboli al suo interno sono numerosi … così come le tematiche e i temi trattati - tantissimi, in poco meno di due ore (forse il difetto del film è proprio la sua breve durata), come per esempio:

- La solitudine, quella che devono affrontare i due protagonisti per tutto il corso della storia, quasi confinati e tagliati fuori dal mondo nella piccola isola del faro.
- Razionalità vs Animalità: due elementi che caratterizzano i due personaggi che, piano piano, cambiano totalmente aspetto, anche per colpa del già citato alcol e della solitudine.
- La sete di potere, quella del tuttofare, che ambisce al posto del suo "Maestro", il guardiano del faro, ed è pronto a tutto pur di ottenerlo.

Certo è che non finiscono qui le tematiche proposte da Eggers nel suo nuovo lavoro, poiché ce ne ripropone alcune a lui care come il folklore, le credenze popolari (questa volta meglio dire dei marinai), una certa mentalità retrograda di fine ottocento e la fede, secondo me la chiave per comprendere "The Lighthouse".

Seppur ispirato da un racconto incompiuto di Edgar Allan Poe, il film è anche una chicca per gli amanti di Lovecraft - il migliore scrittore dell'orrore di sempre - perché ci sono sprazzi della sua creatività. Non è sicuramente un film lovecraftiano nel vero senso del termine, ma lo scrittore è correttamente citato e i fan, come ho detto, non possono che rimanerne entusiasti.
In conclusione, questo 2019 è ormai agli sgoccioli e per quanto riguarda il campo cinematografico, esso termina con una grande perla targata Robert Eggers, che è ormai sinonimo di alta qualità: film come questo, infatti, fanno bene al cinema. E lo spettatore, inoltre, al termine della visione non può che dire solennemente: grazie.
28/12/19

UNA BATTAGLIA DOPO L'ALTRA - PICCOLA ANALISI DI UN GRANDE CAPOLAVORO

0.1 Il film parte subito in quarta, spiazza lo spettatore, mostrando da una parte le azioni del gruppo rivoluzionario “French 75” di chiara ...