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giovedì 2 gennaio 2020

RECENSIONE: THE LIGHTHOUSE

"Se la pallida morte col suo acuto terrore, dovesse far dei marosi le nostre dimore, Signore, che ascolti il crepitio delle onde, concedi la salvezza alle anime moribonde" Thomas Wake, interpretato da Willem Dafoe.

Robert Eggers, cineasta classe 1983, mi aveva stregato - termine più che opportuno - con il suo primo lungometraggio, "The VVitch", un film horror che raccontava la storia di una giovane strega, dove il folklore si univa a una perfezione tecnica senza precedenti nel cinema horror contemporaneo; oggi, dunque, posso affermare che il regista americano ha addirittura fatto un passo avanti con il suo secondo film, "The Lighthouse".
Esso racconta la storia di un guardiano del faro in una piccola isola e del suo nuovo (ma temporaneo) tutto fare, che aspira tuttavia a diventare un guardiano del faro anch'egli. Che cosa rende speciale il film, allora?

Innanzitutto, le interpretazioni monumentali di Willem Dafoe e Robert Pattinson - il primo, da esperto e longevo attore, sa come regalare al pubblico un'altra grandiosa interpretazione, notevolmente superiore a quella ottima nel biopic su Van Gogh, dove interpretava alla grande proprio il pittore stesso. Qui s'immedesima nei panni del guardiano del faro ed ex marinaio, cambiando il suo accento e recitando con una dizione dell'inglese perfetta; il secondo, Robert Pattinson, è qui nel ruolo della sua consacrazione: un'interpretazione silenziosa nelle prime scene, fino alla sua "esplosione" da metà film in avanti. Ora finiamola di ricordare Pattinson soltanto come il protagonista di "Twilight", grazie.
E' un film, questo, dalla messa in scena fortemente teatrale: due attori per tutto il corso
della pellicola, una solida sceneggiatura e un'ambientazione perfetta e ben descritta. Una storia che potremmo vedere rappresentata nei teatri, in futuro, insomma. Ma Eggers con la sua macchina da presa dà quel tocco in più, ha quell'estro necessario per rendere la storia in questione unica esclusivamente sul grande schermo. Dal punto di vista tecnico, egli si conferma come uno dei migliori registi in circolazione: è appena al suo secondo lungometraggio ma già ricorda - e non ha nulla da invidiare - Maestri come Kubrick, Bergman, Tarr e Dreyer, scusate se è poco!
Anche se complesso, più la vicenda narrata nel film si sviluppa e più un senso lo spettatore riesce a coglierlo; ma non è questo un film semplice ed immediato, anzi è un prodotto che ama giocare con lo spettatore, tende perfino ad infastidirlo, lo ubriaca - come i due personaggi del film, mano a mano dediti all'alcol per colpa di una tempesta che li isola definitivamente dal resto del mondo - fino a confonderlo e a fargli vivere un vero e proprio trip horror! The Lighthouse ha al suo interno varie chiavi di lettura, spirituali e non, dantesche e non, ma è certo che i simboli al suo interno sono numerosi … così come le tematiche e i temi trattati - tantissimi, in poco meno di due ore (forse il difetto del film è proprio la sua breve durata), come per esempio:

- La solitudine, quella che devono affrontare i due protagonisti per tutto il corso della storia, quasi confinati e tagliati fuori dal mondo nella piccola isola del faro.
- Razionalità vs Animalità: due elementi che caratterizzano i due personaggi che, piano piano, cambiano totalmente aspetto, anche per colpa del già citato alcol e della solitudine.
- La sete di potere, quella del tuttofare, che ambisce al posto del suo "Maestro", il guardiano del faro, ed è pronto a tutto pur di ottenerlo.

Certo è che non finiscono qui le tematiche proposte da Eggers nel suo nuovo lavoro, poiché ce ne ripropone alcune a lui care come il folklore, le credenze popolari (questa volta meglio dire dei marinai), una certa mentalità retrograda di fine ottocento e la fede, secondo me la chiave per comprendere "The Lighthouse".

Seppur ispirato da un racconto incompiuto di Edgar Allan Poe, il film è anche una chicca per gli amanti di Lovecraft - il migliore scrittore dell'orrore di sempre - perché ci sono sprazzi della sua creatività. Non è sicuramente un film lovecraftiano nel vero senso del termine, ma lo scrittore è correttamente citato e i fan, come ho detto, non possono che rimanerne entusiasti.
In conclusione, questo 2019 è ormai agli sgoccioli e per quanto riguarda il campo cinematografico, esso termina con una grande perla targata Robert Eggers, che è ormai sinonimo di alta qualità: film come questo, infatti, fanno bene al cinema. E lo spettatore, inoltre, al termine della visione non può che dire solennemente: grazie.
28/12/19

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