70) Charli XCX con “Brat”: il disco più recensito dell’anno, al vertice di ogni classifica di ogni critico musicale o appassionato del mondo … ma non nella mia classifica, visto che la chiude! Anche perché, molto semplicemente, non essendo un fan ed esperto dell’hyper-pop, non posso valutarlo coerentemente. Musica che può intrattenere, specchio dei tempi, ma che non riesco a capire.
69) Jamie XX con “In Waves”: il disc jockey britannico
realizza un disco di musica elettronica molto tendente all’house, con canzoni
degne di essere suonate nelle discoteche. Non è la mia comfort zone, ma nel suo
campo è musica di qualità.
68) Clairo con “Charm”: un disco di cantautorato molto soft e
dai toni vellutati, seppur molto anonimo e dimenticabile, per la giovanissima
cantautrice americana, di soli 26 anni.
67) Ulcerate con “Cutting the throat of God”: band neozelandese
che suona un metal brutale, estremo, per palati fini e appassionati del genere.
66) Opeth con “The last will and testament”: la band
progressive metal svedese ci delizia con un lavoro di indubbia qualità.
Purtroppo, non rientrando nelle mie corde il genere in questione, questo album
rimane rilegato nei bassifondi della classifica.
65) Pinguini Tattici Nucleari con “Hello World”: passi avanti
rispetto al deludente “Fake News”. Qui tornano le canzoni orecchiabili che i
Pinguini sanno creare. Un lavoro commerciale e lontano dall’originalità dei
primi album, ma divertente e perfetto da ascoltare in compagnia, con gli amici.
64) Lip Critic con “Hex Dealer”: un post-punk aggressivo
influenzato da tantissimi altri generi come il synth, l’elettronica e il noise.
Caotico e ipnotizzante.
63) Magdalena Bay con “Imaginal Disk”: il duo synth-pop, appena
al secondo album, realizza un disco lungo ma ben scritto, specialmente dal
punto di vista delle musiche, mai banali. La seconda parte mangia la prima. La
voce della cantante Mica non rientra nelle mie corde e per questo, ahimé, lo
penalizza molto.
62) MGMT con “Loss of life”: ormai più che una sicurezza,
questo duo che fonde pop, rock e synth.
61) The Smile con “Wall of Eyes”: primo dei due album usciti
quest’anno dal nuovo gruppo di Thom Yorke, che qui ricalca i suoi ultimi lavori
con i Radiohead. Troveremo molto più avanti Yorke & Co. decisamente più
ispirati.
60) Venturing con “S/T”: un brevissimo Ep della cantante
hyper-pop Jane Remover, che qui abbandona il suo genere musicale così come il
nome, a sorpresa. Un preludio al suo prossimo album, dalle venature molto più
indie rock e intime? Speriamo di sì.
59) Kim Gordon con “The Collective”: ennesimo album della
leggendaria ex bassista dei Sonic Youth, che si è ormai abbandonata alla trap, per
fortuna ancora molto influenzata dall’industrial e dal noise.
58) Kendrick Lamar con “GNX”: Lamar fa il suo, l’album si fa
ascoltare. Poche questa volta le canzoni memorabili, però. Hip hop sicuramente
di alto livello.
57) Blue & Exile con “Love (the) Ominous World”: hip-hop
classico, come quello che si faceva una volta, piacevole da riesumare.
56) Linda Thompson con “Proxy Music”: la storica cantautrice
britannica, da tempo malata e impossibilitata a cantare, dunque aiutata dai
figli e da ospiti illustri scrive un album che risulta un omaggio al folk
britannico di un tempo. Canto del cigno.
55) Lamante con “In memoria di”: dall’Italia arriva Giorgia
Pietribiasi, in arte Lamante, una giovane cantautrice che scrive benissimo i
suoi testi. Le sue sono canzoni personali, narrate sempre dal suo (femminili) punto
di vista e cantante in modo personale e aggressivo. Da tenere d’occhio.
54) Sorelle gemelle lasciate in castigo con “S/T”: questo
progetto vincente ci regala canzoni indie rock sicuramente ben scritte e che
sembrano uscite dagli anni ’90. Potente.
53) David Gilmour con “Luck and strange”: un chitarrista
esperto che, piaccia o non piaccia, ha fatto la storia del rock mainstream e che
oggi riflette sulla vita e sulla morte. Ottimo blues-rock.
52) Beth Gibbons con “Lives Outgrown”: la voce angelica della
leader dei Portishead risplende da sola in questo suo album intimo, molto calmo
e cupo, senza dubbio memorabile.
51) English Teacher con “This Could Be Texas”: per molti è
stata la rivelazione dell’anno. Per me, “soltanto” un buon album. Un post-punk
come va di moda oggi cantato da una voce femminile d’eccezione.
50) King Hannah con “Big Swimmer”: un album dai suoni pacati e
sognanti, un post-rock sicuramente ben suonato e ‘riflessivo’.
49) Idles con “Tangk”: una delle band più note del momento,
capace ormai di sfornare un album dopo l’altro. Questo qui è nella media, un
paio di canzoni sono clamorose, molte altre dimenticabili.
48) Yard Act con “Where’s my utopia?”: altra band post-punk,
ma un po’ meno conosciuta della precedente. Questo album è leggermente
superiore a quello degli Idles. Un bel viaggio, con canzoni che contengono anche
molti campionamenti.
47) Yikii con “Chorion”: dal nord della Cina, arriva questa
giovane e misteriosa cantante sperimentale che, con atmosfere macabre, quasi
uscite da un film di Tim Burton, delizia e inquieta le orecchie degli
ascoltatori al medesimo tempo.
46) Gao The Arsonist con “And they mine for our bodies”: un
hip-hop sperimentale, con basi originali e creative, che suonano come la
copertina scelta per il disco, ovvero il ‘Saturno che divora i suoi figli’ di
Goya. Quaranta minuti piacevoli e sognanti.
45) The Jesus Lizard con “Rack”: ben 26 anni dopo, ecco
l’inaspettato ritorno dei JL, uno dei gruppi noise rock più dirompenti e
importanti degli anni ’90. Infatti, lì sono rimasti, come se il tempo per loro
si fosse fermato. Per molti altri potrebbe essere un difetto, per loro non lo
è. Il disco è suonato con forza e con grande mano. Non ci sono canzoni
memorabili, ma le vibes di una volta.
44) JPEGMAFIA con “I Lay Down My Life For You”: molto meglio
questo album, se parliamo di hip-hop, con una produzione superiore.
Collaborazioni ottime. Diverse canzoni sono piccole bombe a orologeria, da
ascoltare a ripetizione. Grande rapper, Hendricks.
43) Fire-Toolz con “Breeze”: una piccola bomba pronta a
esplodere, questo folle lavoro dell’artista transessuale Angel Marcloid. Delle
canzoni che, appunto, esplodono da un momento all’altro, con sfuriate metal-noise-techno
impreviste. Forse un po’ lungo, però sperimentale e divertente. Da suonare … per
rovinare un party tra amici!
42) Uniform con “American standard”: sarò onesto, ho
ascoltato questo disco per via della bellissima copertina. Non ha deluso le mie
aspettative. Un noise rock con atmosfere industrial, come le fabbriche della
copertina, con una prima traccia d’apertura di ben 21 minuti, di certo il pezzo
migliore.
41) The Body con “The Crying Out Of Things”: due album in un
anno anche per questa band difficile da etichettare, ma identificabile forse nel
metal più astratto. Il secondo album lo troveremo di gran lunga più in alto in
classifica.
40) Baby Rose & BADBADNOTGOOD con “Slow Burn”: Ep di una
ventina di minuti cantato da questa giovane cantante di origini afro, classe
1994 – per molti la nuova Nina Simone – e prodotto dalla band strumentale di
cui potete leggere il nome. Che voce, la ragazza!
39) Bassolino con “Città futura”: ci parla della sua Napoli,
l’artista partenopeo, qui al suo esordio. Un disco fusion, che ha poche tracce
cantate in napoletano, ma che è suonato benissimo. Non è la mia comfort-zone,
ma è un disco che spacca.
38) Johnny Cash con “Songwriter”: molti saranno contrari a
questi progetti (sicuramente di matrice economica), ma queste tracce riesumate
del compianto Cash, maestro indiscusso del country, mi hanno emozionato tantissimo.
37) Charles Lloyd con “The Sky Will Still Be There Tomorrow:
lo storico sassofonista statunitense, a 86 anni, compone un album lunghissimo
(oltre 1h30m di durata) ma suonato divinamente. Ogni strumento fa il suo alla
perfezione, dal sassofono al piano, passando per i bassi fino ad arrivare ai
fiati. Forse il disco suonato meglio dell’anno.
36) The Garden con “Six Desperate Ballads”: un breve Ep di
questo duo di gemelli che sperimenta con il rock alternativo. Tracce brevi,
fresche, scatenate e che non si dimenticano facilmente. Speriamo sia il
preludio per un nuovo ottimo disco, nel 2025.
35) The Dopamines con “80/20”: il pop-punk più divertente
dell’anno. Disco che finalmente consacra la band in questione, mai così in
forma. Si sono divertiti e si sente: scorre via che una bellezza.
34) Knocked Loose con “You won’t go before you supposed to”: un
disco metalcore con rimandi all’hardcore-punk e che dura poco, ma intrattiene a
dovere. Una piccola sorpresa che ti rimbomba in testa per diverso tempo.
33) Hoboken Division con “Psycholove”: band francese di rock alternativo
che riesce a creare canzoni non banali e orecchiabili, tendenti al garage.
32) Jack White con “No name”: White è ormai una istituzione
nella scena rock contemporanea e con questo album di blues rock influenzato dal
garage è ben capace di ricordarcelo.
31) Anaiis & Grupo Cosmo con “S/T”: album bellissimo
della giovane artista franco-senegalese, accompagnata dal gruppo brasiliano.
Cantato benissimo nella doppia lingua inglese e portoghese, suonato forse
meglio. Tantissime le influenze di bossa nova e samba all’interno.
30) Roge con “Cuyman II”: seguito del primo Curyman per
questo cantautore brasiliano apprezzato in patria; disco di musica popolare brasiliana
veramente intenso e travolgente.
29) Destroy Boys con “Funeral Soundtrack 4”: un disco punk
fresco, rapido, da ascoltare più volte. Cosa volere di più?
28) The Smile con “Cutouts”: eccoli qui gli ‘Smile’ di Yorke,
una delle voci maschili migliori al mondo, decisamente più in alto in questa
classifica, con un lavoro ispirato e molto più sperimentale dell’altro.
27) Molchat Doma con “Belaya Polosa”: ecco i bielorussi dei
Molchat Doma in tutta la loro bellezza, con un album forse un po’ troppo lungo,
ma a tratti perfino ballabile! Il decadentismo post-sovietico al suo massimo splendore!
26) Tyler, The Creator con “Chromakopia”: se ‘Brat’ è stato
il disco più chiacchierato, questo viene subito dopo. D’altronde parliamo di un
artista geniale, che ha meritato il suo successo. Qui il rapper si trova nel
bel mezzo della sua carriera ad interrogarsi sulle sue origini, sulla sua
famiglia, sulle sue radici. C’è chi lo ha amato e chi no, io faccio parte del
primo gruppo.
25) Ezra Collective con “Dance, No One’s Watching”: un disco
di jazz puro, di questo quintetto afro-londinese, perfetto da mettere in una
serata tra amici, visto che è capace perfino di farti ballare. Ritmo travolgente,
ma elegante.
24) Vampire Weekend con “Only God Was Above Us”: il disco più
maturo di questa band indie-rock che scoprii, anni fa, su un videogioco di
calcio. Sempre gradevoli, mai banali. Il disco della loro consacrazione e
maturità.
23) Mdou Moctar con “Funeral for Justice”: dai deserti del
Niger, dall’Africa colonizzata dalla Francia, arriva questo chitarrista che ci
regala un blues-rock africano di qualità enorme. Per alcuni è il nuovo Jimi
Hendrix … chissà, il ragazzo ha ancora molta strada da fare, ma l’ingombrante paragone
già fa capire dove stiamo andando a parare.
22) Bad Nerves con “Still Nervous”: il pop-punk come dovrebbe
essere. Tracce veloci, orecchiabili, aggressive. Sono appena al secondo album,
questi ragazzi, ma per me già sono un punto di riferimento.
21) Richard Thompson con “Ship To Shore”: negli anni ’70,
insieme alla moglie Linda (già recensita all’inizio della classifica), fece
scuola per quanto riguarda il folk britannico. Oggi, da solo, realizza un disco
orecchiabile, che mi ha intrattenuto e che ha alcune perle al suo interno.
20) The Cure con “Songs of a Lost World”: altro clamoroso
ritorno dopo 16 anni! La tecnica non sembra averne risentito perché si rispolverano
perfino le sonorità di ‘Disintegration’. Canzoni lunghe, coraggiose, sognanti.
Commovente.
19) GY!BE con “No title as 13 February 2024 28,340 Dead”: già
dal titolo è chiaro come sia uno dei lavori più politici dei nostri, schierati
contro il genocidio in Palestina. Per molti sono vecchi e ripetitivi, ormai
ammuffiti … macché, per me suonano ancora da Dio e fanno scuola a molti!
18) Effluence con “Necrobiology”: altro disco simile ai
precedenti, ma sempre un piacevole-disturbante ascolto.
17) Pharmakon con “Maggot Mass”: ci era mancata Pharmakon,
assente da cinque anni. Qui torna con un disco che è un inno alla natura, ma
alla maniera della nostra, quindi con un cantato urlato, disturbato e
disturbante. Sembra di sentire una strega lanciare i suoi anatemi dalla sua
casa nel bosco. Adorabile.
16) St.Vincent con “All Born Screaming”: un’artista francese
ormai affermata che riesce a non sbagliare mai un disco, aggiornandosi di volta
in volta, molto semplicemente. Ennesima grande prova di questa ragazza.
15) Bill Ryder-Jones con “Iechyd Da”: altro disco di un
cantautore capace di colpirti al cuore con canzoni semplici, ma mai banali. Tantissimi
i pezzi memorabili all’interno di questo sentito album. Poteva stare anche più
in altro, se non fosse per gli altri eclatanti dischi che andrò a menzionare…
14) Geordie Greep con “The New Sound”: Il cantante classe ’99
(!!!), già ex frontman dei Black Midi, qui all’esordio come solista, realizza
un disco straordinario, perfino con influenze jazz e di musica brasiliana al
suo interno. Una voce matura, che sembra quella di un veterano e non di un
ragazzo. Incredibile!
13) Fontaines D.C. con “Romance”: il loro lavoro più
accessibile, un post-punk che si fa molto più orecchiabile e da hit radiofonica.
Un perfetto compromesso tra creatività e commercialità. Un passo avanti
notevole per la talentosa band irlandese.
12) Father John Misty con “Mahashmashana”: avevo conosciuto
questo artista con la sua collaborazione in un pezzo dell’ultimo album di Lana
del Rey; perciò, ho deciso di dargli una chance. Mai scelta si rivelò più
azzeccata. Delle canzoni intime, travolgenti, soprattutto quelle più lunghe. Un
viaggio quasi spirituale.
11) Adrianne Lenker con “Bright Future”: un cantautorato
personale, intimo. Canzoni scritte sempre benissimo, cosa non facile per tutta
la durata di un disco. Cantate, poi, con una voce divina e unica. Devastante.
‘Sadness as a gift’ vince il mio inutile premio come miglior canzone del 2024.
10) Xiu Xiu con “13’’Frank Beltrame Italian Stiletto with
Bison Horn Grips”: questo album dal nome impronunciabile fa tornare la band e il
suo unico frontman, Jamie Stewart, ai livelli altissimi di una volta,
finalmente. Grande lavoro.
9) The Last Dinner Party con “Prelude to Ecstasy”: cinque talentose
ragazze al loro esordio e cosa ti tirano fuori? Un disco imperdibile. Un pop
barocco che prende da numerosi artisti del passato, ma che risulta
personalissimo. Tantissime canzoni indimenticabili, molte ballabili, altre
malinconiche. È già cult.
8) The Pleasants con “Rocanrol in Mono”: come sarebbero i
Ramones se suonassero oggi? Ecco la risposta. Un disco strano, perché è appunto
un punk molto simile a quello dei Ramones, dunque anche impossibile da non
amare!
7) The Body & Dis Fig con “Orchards of a Futile Heaven”:
collaborazione perfetta tra la band doom metal e la cantante Dis Fig, che si
rifà alle urla di Lingua Ignota. Un viaggio oscuro, mistico, denso … una
collaborazione vincente!
6) Alcest con “Les Chants De l’Aurore”: i francesi Alcest,
gruppo veterano dell’ambient metal, suonano ancora divinamente e ce lo
ricordano con questo ennesimo capolavoro, dove ogni traccia vale il prezzo del
biglietto. Immortali.
5) Billie Eilish con “Hit Me Hard and Soft”: con il primo
album mi aveva sorpreso, creando hit potenti e orecchiabili; col secondo mi ha
annoiato a morte, creando un album dimenticabile; con questo terzo album si è
ripresa senza ombra di dubbio, scrivendo canzoni orecchiabili e ancora una
volta vincenti. Bentornata, Billie!
4)Chelsea Wolfe con “She Reaches Out to She Reaches Out to She”:
lei è una delle mie artiste preferite. Da anni non sbaglia un’uscita e anche
questa volta riesce a sfornare un disco dalle atmosfere cupe e immersive. Il
suo classico ambient metal qui influenzato addirittura dal trip hop. Una
sicurezza.
3)Mercury Rev con “Born Horses”: negli anni ’90 hanno
riscritto la storia della musica rock, creando nuove regole all’interno della
psichedelia; oggi, con la loro esperienza, possono permettersi un disco più
intimo, riflessivo, poetico, pacato. Testi eccellenti e musiche da sogno, cosa
chiedere di più? Maestri.
2)Cindy Lee con “Diamond Jubilee”: un artista ancora poco
conosciuto, sicuramente molto particolare (nei live si traveste da donna). Qui
tira fuori un doppio album lunghissimo (due ore) ma che scorre via senza alcun
problema. Il disco sembra come uscito da una vecchia stazione radiofonica
perduta di vecchie canzoni sconosciute degli anni ’60 e ’70, dai toni sognanti
e offuscati. Per me è stato come una rivelazione.
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