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venerdì 6 dicembre 2024

ANORA, DAI BASSIFONDI ALLA PALMA D'ORO

Immaginate di essere un giovane regista, classe 1971, proveniente dal New Jersey e di avere pochissimo in mano, se non altro una smisurata passione per la settima arte, coronata dal collezionismo di vecchie locandine. Immaginate di realizzare diversi film con pochissimi mezzi, uno di questi addirittura con soli tre IPhone 5S. Arrivate però ad avere un buon riscontro della critica perché avete talento e, il vostro nuovo film, avrà addirittura un budget di 6 milioni di dollari (comunque una cifra irrisoria nel settore) … ma in qualche modo riuscite a portarvi a casa la Palma d’Oro al Festival di Cannes! Bene, è quello che è successo a Sean Baker giusto qualche mese fa. Il sogno americano, che tanto viene criticato nelle sue opere, per lui è divenuto finalmente realtà. Baker ce l’ha fatta. Il prossimo passo potrebbe essere l’oscar, chissà. 

Il film, nonostante abbia 6 milioni di budget e sia arrivato facilmente al pubblico mainstream, rispetta lo spirito indipendente del regista e riesce allo stesso tempo ad essere il suo film più maturo. Tuttavia, è il film di Baker che presenta più scene di interni, come quelle del night club e quelle nella sfarzosa villa. 

Il film si suddivide in tre parti ben distinte, nei classici tre atti: nel primo facciamo la conoscenza di Anora - che ama farsi chiamare Ani - e che lavora come spogliarellista nei classici night club americani, in questo caso nel sobborgo russo di Brooklyn, New York. Una notte, però, si presenta un giovanissimo ragazzo, Ivan - che ama farsi chiamare Vanja - in vacanza dalla lontana Russia. Anora viene chiamata per parlare con lui, poiché è di origini russe anche lei e conosce benissimo la lingua. Tra i due nasce una certa complicità e per Anora, Vanja, rappresenta un qualcosa di differente dai soliti clienti di mezza età. Successivamente la ragazza verrà invitata nella villa del giovane russo dove le verrà proposto di diventare la sua ragazza <<esclusiva>>, ma solo per 15.000 $. Vanja è in realtà il ricco figlio di una ricchissima famiglia russa, i Zacharov, dove il padre ha una non meglio specificata importanza come uomo d’affari.

Per Anora è come aver trovato la gallina dalle uova d’oro, in buona sostanza. Piano piano tra i due, a sorpresa, nasce anche un sentimento speciale. Insieme agli amici di lui, i due viaggiano con aerei privati fino a Las Vegas, dove si danno alla pazza gioia tra le suite e i casinò. Questa parte del film mi ha ricordato tanto “Spring Breakers”, il cult movie di Harmony Korine, con tanta musica a palla, divertimento, eccesso e riprese movimentate. Vanja, una sera, propone ad Anora perfino di sposarla, così da non tornare in Russia dai suoi “odiati” genitori. La ragazza accetta e i due si sposano nei più classici matrimoni-lampo di Las Vegas. 

Per Ani è come vivere in una favola, tutto per lei è un sogno ad occhi aperti. La vita non potrebbe andare meglio. 

Tuttavia, i gorilla del padre, capeggiati da Toros (un sacerdote della chiesa armena in città, nonché padrino del ragazzo) più l’armeno Ganik e il russo Igor, il quale all’inizio appare marginalmente ma che poi assumerà sempre più importanza, scoprono che il ragazzo si è sposato per davvero e intendono prelevarlo dalla villa per farlo divorziare al più presto, prima dell’arrivo dei genitori di lui. 

Il ragazzo, però, riesce in qualche modo a fuggire, lasciando Anora sola con i tre uomini, abbandonandola, forse per sempre. 

Da qui si capisce che, da colto cinefilo, “Le notti di Cabiria” ha avuto un forte impatto sulla formazione del regista, come confessato nelle interviste successive all’uscita di “Anora”. 

La parte più divertente del film ha così inizio: dopo aver distrutto mezza villa, lottando tra loro, il singolare quartetto girerà tutta la notte a New York in cerca del ragazzo, tra mille avventure grottesche e situazione disperate. Questa seconda parte del film non può che ricordare i film alla “Tutto in una notte”, però con personaggi usciti dalle migliori commedie nere dei Coen. Questa parte del film è, non esagero, davvero esilarante, come mai era accaduto nei film di Baker (si rideva, sì, ma a denti strettissimi). Qui, al contrario, si ride di gusto! Riaffiorano dunque pretesti comici già utilizzati in precedenti film dello stesso, come la scena del vomito nell’automobile, vedi “Tangerine”, ma sviluppati meglio. 

Scopriamo, piano piano, che Igor e Anora sono più simili di quello che sembrano. Sono due anime pure, semplici, alienati da una società sfruttatrice - Ani sfruttata per il suo corpo e la sua bellezza, Igor sfruttato per la sua forza fisica. Igor, per farvi capire, guida ancora la vecchia macchina di sua nonna, nonostante il lavoro dovrebbe essere quantomeno redditizio! 

Nel finale, i due si avvicineranno sempre di più, sia spiritualmente sia fisicamente, anche grazie al piccolo plot twist finale. La scena finale, di una struggente bellezza, corona il tutto e assume un significato - che va ad interpretazione da spettatore a spettatore - senz’altro più che poetico. 

Come dicevo all’inizio, il nostro Baker riesce a mantenere il suo spirito indipendente, nonostante il successo. Ebbene, ad inizio film, nelle scene del night club, gli uomini che interagiscono con la protagonista non sono comparse, bensì veri clienti ripresi “illegalmente” (così come, illegalmente parlando, aveva girato il finale de “Un sogno chiamato Florida”, nel parco giochi). Questi uomini sono stati ripresi tramite teleobiettivo, mentre l’attrice Mikey Madison era guidata dal regista tramite un auricolare nascosto. Così come la scena post-matrimonio per le strade di Las Vegas, secondo me; anche la scelta della villa è stata improvvisata, poiché il regista l’ha trovata per caso su Google maps! Il film si colloca coerentemente nella filmografia del regista, con la tematica del “sex worker” alienato quasi sempre messa in primo piano: in “Tangerine” le due protagoniste sono due transessuali; in “Un sogno chiamato Florida” la ragazza madre usava il suo corpo come espediente per sopravvivere; infine, in “Red Rocket”, il protagonista, un ex pornoattore, tornava a casa sua, in Texas, per tornare alla normalità. C’è un filo rosso che collega tutti questi film e Baker, su questo aspetto, ha compiuto un ottimo percorso. 

Per quanto riguarda la tecnica registica, i movimenti di macchina sono perfetti e i piano sequenza con i protagonisti ripresi di spalle (ricorrenti nel suo cinema) tornano alla ribalta, raggiungendo il loro apice all’interno del night club, nella parte centrale. Le inquadrature geometricamente perfette sul lungomare sono le uniche tipicamente bakieriane presenti in questo film (Baker è un maestro nello sfruttare la luce naturale e i luoghi più particolari realmente presenti nelle varie città). 

Anche in questo caso si ha un rapporto strano osservando la storia narrata: lo spettatore desidererà vivere in quel mondo lì, non può non empatizzare con i personaggi principali, anche se il mondo che viene svelato sia profondamente marcio e alienante! Mi è sempre capitato con ogni film di questo regista e anche qui ho provato la medesima sensazione. 

Ed ecco la mia interpretazione finale riguardo a questo film…la morale della favola è la seguente: solo l’unione degli ultimi, degli emarginati, può sconfiggere le brutture di questo mondo, governato da dei pochi ricchi superficiali e/o insensibili. Il messaggio non è nuovo, ma Baker lo esprime con la grazia innata del cinema indipendente. Un po’ come se Ken Loach incontrasse prima Harmony Korine e poi i fratelli Coen. 

E io non posso che dire grazie.



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