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venerdì 3 ottobre 2025

UNA BATTAGLIA DOPO L'ALTRA - PICCOLA ANALISI DI UN GRANDE CAPOLAVORO

0.1 Il film parte subito in quarta, spiazza lo spettatore, mostrando da una parte le azioni del gruppo rivoluzionario “French 75” di chiara estrazione marxista-leninista (uno di quei gruppi che un qualsiasi Stato bollerebbe come <<Organizzazione Terroristica>>), dall’altra la travolgente storia d’amore tra due membri dell’organizzazione, Ghetto Pat (Leonardo DiCaprio) e Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor). I due avranno una figlia, Willa (Chase Infiniti), ma Perfidia presto si sentirà inadatta al ruolo della madre e deciderà di scappare via, per di più tradendo i suoi vecchi compagni, dopo essere stata braccata dal folle colonnello Steven J. Lockjaw (Sean Penn). Ghetto Pat, ora ribattezzato Bob, che nel frattempo si è rifatto una vita in incognito, sedici anni dopo gli eventi iniziali è un boomer depresso, che soffre di attacchi di panico e che beve alcool e fuma erba, preoccupato soltanto dei primi problemi adolescenziali della figlia. Il vecchio colonnello, però, è ancora sulle loro tracce, avendo un conto in sospeso con quella famiglia, e arriva a rapire Willa. Da quel punto in poi parte la ricerca disperata di Bob per poter riabbracciare la sua unica ragione di vita, sua figlia. La parte centrale del film, la più riuscita, ha un ritmo serrato, non ti fa respirare, fa diventare il film un action movie adrenalinico. Nonostante la situazione drammatica, il regista alleggerisce il tutto scrivendo siparietti comici davvero esilaranti, conditi da un black humor efficace e battute davvero memorabili (<<Che ore sono?>>, <<Pensa al mare>>, <<Devo caricare il cellulare!>>). Non scherzo se affermo che questa parte centrale mi ha ricordato il film d’animazione “Alla ricerca di Nemo”, ovvero un padre insicuro alla disperata ricerca del figlio in mare aperto, senza molti appigli. Ma è tutto il resto, quello che sta intorno e che adesso proverò ad analizzare, che caratterizza e differenzia questo lavoro da questo classico tipo di storie.

0.2 “Una battaglia dopo l’altra” è il film più politico e socialmente impegnato di Paul Thomas Anderson, il quale non si tira indietro mettendo in scena degli Stati Uniti d’America violenti, razzisti, controllati da un altrettanto violento Stato di Polizia. È anche uno dei film più complessi del regista, che in due ore e quaranta minuti mette su sicuramente tanta carne al fuoco e, per questo, il suo decimo lungometraggio merita fin da subito più di una visione, anche perché allo spettatore, all’inizio, serve un po’ di tempo per entrare all’interno della vicenda e per districarsi col linguaggio in codice usato dai Rivoluzionari. Il più grande atto d’accusa di questo film, però, secondo me, è quello contro le politiche anti-immigrazioni statunitensi (in particolare quelle coi vicini messicani, emblematica infatti la scena d’apertura coi migranti salvati): ci tengo a ricordare che il paese in questione, che si fa portavoce della Democrazia mondiale, prende a frustate gli immigrati messicani al confine, per mezzo di poliziotti a cavallo muniti di fruste, in scene degne del peggior Far West; ancora, il muro anti-migranti al confine con il Messico è ormai realtà, alla faccia di quello di Berlino! Dunque, PTA si schiera apertamente contro questo tipo di politica isolazionista e paranoica, anche perché la forza degli Stati Uniti – mi vien da dire proprio in ambito culturale o sportivo – è la sua unione di culture e razze diverse.   

0.3 Il livello di messa in scena portato da Paul Thomas Anderson è Totale (ci tengo a scriverlo con la maiuscola), districandosi in primissimi piani, macchina in movimento nelle scene action, campi larghi, POV di auto in movimento per lunghissime strade prima in salita e poi in discesa o piani sequenza di personaggi ripresi di spalle. I luoghi scelti, soprattutto quelli della seconda parte, vasti e visivamente impressionanti, sono un grande omaggio ai film western e ai road movie. Non sembrano passati quattro anni dal precedente “Licorice Pizza”, ma un solo giorno. Anzi, il nostro sembra rinvigorito, un ragazzino che scopre il cinema per la prima volta (se non fosse per la maturità tecnica) e che si diverte a sperimentare più tecniche di ripresa. In definitiva, PTA dirige come uno Stanley Kubrick dei giorni nostri, confermandosi il più grande regista occidentale vivente.  

0.4 Una menzione d’onore obbligatoria deve essere rivolta alla colonna sonora di Jonny Greenwood, giunto alla sesta collaborazione col regista; credetemi quando affermo che quella che ascolterete si tratta di una delle migliori recenti composizioni per un film, capace di tenerti in tensione come una corda di violino più delle immagini stesse anche solo a un dissonante tasto del pianoforte. Anche le canzoni non originali sono coerenti con il momento raccontato nella scena e inserite perfettamente, iniziando con gli Steely Dan, passando per i Fugees ed Ella Fitzgerald e chiudendo il cerchio col compianto Tom Petty e i suoi Heartbreakers.

0.5 Un capitolo importante di questa mia piccola analisi deve essere dedicato alla performance degli attori. Raramente si riesce ad assistere a un tale livello performativo in un unico film. Leo DiCaprio è semplicemente esilarante nel ruolo di questo paranoico papà ex-rivoluzionario. Bravissimo nel cambiare aspetto e interpretazione dalla parte introduttiva alla seconda parte. Forte dei 25 milioni di dollari percepiti (a fronte di un clamoroso budget di 130 milioni, il più alto di sempre per il nostro regista) l’attore da anima e corpo a far vivere il suo personaggio e a caratterizzarlo con mille diverse sfaccettature; Sean Penn, nel ruolo dell’antagonista, se possibile, ruba addirittura la scena a tutti gli altri, recitando in maniera credibile sostanzialmente il ruolo di un pazzo squilibrato, infarcendo la caratterizzazione del suo colonnello con numerosi tic e scatti d’ira davvero impressionanti. Con il tempo, non ho dubbi che lo ricorderemo come il ruolo della vita per il buon Penn. Un divertente e divertito Benicio del Toro, inoltre, interpreta il Sensei messicano, maestro di Karate di Willa e Deus Ex Machina per Bob. Anche se il suo minutaggio è ridotto rispetto a quello degli altri, il suo personaggio zen ti entra dentro, arrivando a diventare – ne sono sicuro - il tuo personaggio preferito. Anche le donne, però, reggono il gioco alla pari: una sconosciuta ed esordiente Chase Infiniti, venticinquenne, è perfetta nell’interpretare una ragazzina in crescita, risoluta e combattiva come la madre, facendoti credere che non si tratta del esordio sul grande schermo. La cantante Teyana Taylor domina la parte introduttiva della storia, interpretando una donna guerrigliera e seducente, che farà perdere la testa a più di un uomo.

0.6 Anderson si conferma come l’unico regista capace di mettere in scena le follie visionarie dello scrittore di culto Thomas Pynchon, uno dei più grande geni della letteratura a stelle e strisce del Novecento. Già c’era riuscito nel 2014, adattando in maniera abbastanza fedele il romanzo noir “Vizio di forma” in un ottimo film con Joaquin Phoenix. In questo caso prende solo spunto da “Vineland” (1990), trasportandolo ai giorni nostri e adattandolo alle esigenze del nostro mondo. Pynchon, per chi non lo sapesse, è forse il più grande esponente del postmodernismo (insieme forse al solo DeLillo), una corrente letteraria del secondo Novecento tra le più apprezzate, che si basa su una forte esagerazione dei personaggi, su dettagli grotteschi, su una scrittura delirante e cervellotica col fine di andare a criticare in maniera oserei dire satirica la società capitalista. Infatti, in questo film troverete tantissimi elementi grotteschi o esagerati: ci sono suore che sparano coi mitra, rivoluzionari con lo skate, sette ariane ...

0.7 Un grande regista è capace di inserire i suoi omaggi, i suoi riferimenti cinefili, senza scadere nel ridicolo o nel plagio … un buon cinefilo, d’altro canto, ha il compito di scovarli, aiutando il prossimo a riconoscerli. Nel mio piccolo, ci ho provato anch’io ed ecco cosa ho scovato. Le nostre eroine che sparano con il mitra, oltre a citare verbalmente il personaggio Tony Montana di “Scarface”, sono similari a una scena del capolavoro “Sonatine” di Takeshi Kitano, dove una protagonista spara con la medesima arma. Il personaggio di DiCaprio è intento a guardare, sul divano di casa sua, il film italiano “La Battaglia di Algeri”, dedicato alla guerra partigiana algerina contro gli imperialisti francesi. La scena dell’inseguimento su e giù per la lunga strada fatta di salite e discese, costruita magistralmente con un assordante silenzio e più simile a una esperienza su una montagna russa, mi ha ricordato gli inseguimenti nelle lunghe strade deserte di Mad Max. Più in particolare, però, possiamo fare un parallelismo d’immagine con una scena di “Reichsautobahn”, un film documentario di Hartmut Bitomsky sulle strade della Germania Nazista dove ce n’era una molto simile a questa. I geometrici piano sequenza dei soldati ripresi di spalle nel campo militare non possono non ricordare le immagini di “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick. La questione dei messicani nascosti rimanda al film “Bread and Roses”, anche se narrato con stile e modi differenti e diretto da Ken Loach. La medaglia al merito conferita al colonnello per aver sconfitto il “French 75” è fittizia, anche se è dedicata a un personaggio realmente esistito, ovvero Nathan Bedford Forrest, già generale dei Confederati durante la Guerra Civile e, in seguito, primo Grande Stregone del Ku Klux Klan. Nella vita reale, dunque, non esiste nessuna medaglia dedicata a questo controverso personaggio storico; tuttavia, la medaglia più importante che il Klan poteva conferire ritraeva proprio il volto di Forrest! Inoltre, la questione “sette” è estremamente importante nel film poiché il gruppo ariano de “I Pionieri del Natale” gioca un ruolo chiave all’interno della vicenda, riducendo il ruolo del colonnello a quello di mera marionetta nelle loro mani, facendo intuire come anche il più spietato uomo può essere manovrato da un potere superiore.   

0.8 In conclusione, PTA mette in scena il suo paese in chiave distopica e utopica al medesimo tempo; distopica perché lo rappresenta come uno stato per e di suprematisti bianchi, con repressioni continue da parte della polizia, dell’FBI. Però, c’è anche una nota positiva: i giovani. Sono i più giovani, secondo il regista, coloro che dovranno farsi carico del futuro e risollevare le sorti di un Paese intero, con le loro lotte, i loro sogni e le loro proteste, ereditate dai vecchi combattenti che hanno fallito la loro lotta. E lo dovranno fare attraverso una Rivoluzione dopo l’altra.

venerdì 14 febbraio 2025

M. Il Figlio del Secolo - una Serie Tv Capolavoro?

 “(…) Mi avete amato follemente; per vent’anni mi avete adorato, temuto, come una divinità….e poi m’avete odiato, follemente odiato, perché m’amavate ancora. Mi avete ridicolizzato, scempiato i miei resti perché di quel folle amore avevate paura, anche da morto. Ma ditemi, a cosa è servito? Guardatevi attorno, siamo ancora tra voi.” 

La voce del Duce fuori campo, contrapposta a violente e rapide immagini di repertorio restaurate, riecheggia nelle nostre teste come se ci parlasse dall’oltretomba, come se il suo spirito fosse ancora nel mondo dei vivi, inaugurando in questo modo la serie tv tratta dal best seller di Mario Scurati, “M. Il figlio del secolo”; un libro capace non solo di esser letto da mezza Italia, nel 2018 e negli anni successivi, ma anche di vincere il Premio Strega. Per un libro storico camuffato da romanzo, un risultato molto importante…

Il primo tomo, capostipite di una fortunata saga (che ora a breve vedrà alla luce il quinto e ultimo capitolo), si occupa di un periodo che va dal 23 marzo 1919, data della creazione dei Fasci di Combattimento, al 3 gennaio 1925, data del celebre discorso “difensivo” di Mussolini in parlamento, ovvero l’evento simbolo che consacrò una volta per tutte il ventennio successivo. 

***

M-il Figlio del Secolo è il perfetto prodotto d’intrattenimento. Non esagero. Tutto è studiato fino al più piccolo dettaglio per farsi piacere, se non addirittura amare, dal pubblico più vario e più vasto possibile perché ha al suo interno una narrazione dinamica e coinvolgente, un attore protagonista in voga che da sempre il meglio di sé e un argomento che, per forza di cose, è (almeno nel nostro paese) morbosamente affascinante. Ecco perché una puntata tira l’altra, come un buon grappolo d’uva (anche facilitati da una durata di un’ora scarsa ad episodio). 

La serie, inoltre, farà la felicità degli studenti liceali per il suo essere così tanto “scolastica”, nel senso che tutto viene spiegato (con dei veri e propri brevi e scattanti riassunti storici), ogni personaggio viene introdotto biograficamente e ogni evento è ben contestualizzato. Se si è uno studente alle prime armi, bene, ma per me che ho sempre amato la storia del Novecento ecco che ho trovato tutto ciò un po’ ridondante e superfluo. 

Il Mussolini messo in scena è un personaggio che, ogni tre per due, sfonda la quarta parete (molto più di un Jordan Belfort in “The Wolf Of Wall Street”); e lo fa o per parlare agli spettatori, oppure per fare delle faccette rivolte in macchina, come quando reagisce a ciò che gli viene detto, bloccando temporalmente quasi la narrazione; fa il dito medio, tira occhiatacce, dice parolacce: è un Duce fortemente (post) moderno, capace di creare sicura presa sullo spettatore. Non si fa amare, ma cattura l’attenzione. Questo aspetto, però, è sempre delicato perché rischia di creare fascinazione su personaggi storici controversi o negativi, come in questo caso. Bisogna essere parecchio bravi a bilanciare il tutto. 

Ma dalle ultime due/tre puntate questo aspetto viene bruscamente ridimensionato perché, dopo prime puntate anche con inaspettati tocchi di black humor, si passa a dei toni più tetri e drammatici mano a mano che la situazione in Italia, dal punto di vista storico, si fa sempre più delicata, fino a culminare con il caso Matteotti. L’ultima puntata, l’ottava, sfocia proprio nell’horror gotico, mi vien quasi da dire, poiché un paranoico Mussolini verrà visitato più volte dallo spettro della vedova Velia Titta, moglie dell’Onorevole parlamentare scomparso. 

Le scenografie sono il vero punto di forza, secondo me, per il loro essere quasi espressioniste, teatrali, piene di impalcature ovunque (si rifanno al cinema espressionista tedesco, vedi “Il Gabinetto del Dottor Caligari”). 

La fotografia va a ruota, con tagli di luce impressionanti e colori bui, tetri, conformi al periodo trattato. 

Marinelli è stato mostruosamente perfetto ad interpretare un personaggio storico così difficile da rendere sullo schermo senza cadere nel macchiettistico. Per di più il suo personaggio compare al 99% delle scene, per otto ore circa, dunque non era facile essere così credibile per tutto il tempo con una costanza stakanovista. Il suo Mussolini è buffo, furbo, calcolatore, opportunista (prima fa la guerra alla borghesia, poi ci si allea); bluffa sempre, mente, è animalesco con le donne. Marinelli, inoltre, bravissimo nell’imparare gli accenti italiani, riesce a parlare romagnolo in modo credibile, almeno per quanto mi riguarda. Eccetto quando ride e torna ad essere il classico Marinelli, col suo ghigno e il sorriso alla Stregatto, a tutto denti. La somiglianza, comunque, spesso è inquietante, con le sue calvizie e gli occhioni completamente neri. Il suo non è un Mussolini patetico o volutamente ridicolo, ma teatrale per il suo modo di porsi, una consuetudine per le persone di quegli anni, che usavano parole e modi di fare che oggi sembrano buffi e inusuali. Tra l’altro, apro questa piccola parentesi, questo libro era stato già trasposto proprio a teatro (poi mandato in onda dalla Rai), con l’esperto Massimo Popolizio a interpretare il capo dello Stato. Questo a testimonianza di quanto la storia sia facilmente adattabile anche per il teatro. 

Mi ha fatto un po’ ridere, ma in senso buono, che ogni puntata si avvalga di una sorta di “Guest Star” storica: nella prima è senza ombra di dubbio D’Annunzio, che sbarca a Fiume; nella seconda è Marinetti, il poeta futurista, mentre nella terza abbiamo la comparsa del controverso aviatore Italo Balbo e un primo accenno di Matteotti. Nella quinta c’è Don Luigi Sturzo, lasciato solo dalla sua Chiesa. Poi arriva il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, <<il Nano>>. 

Il coprotagonista, invece, è a sorpresa tal Cesare <<Cesarino>> Rossi, nome poco conosciuto ai più, quando è stato un fascista della prima ora, storico collaboratore di Mussolini per il loro celebre quotidiano, Il Popolo d’Italia. Bellissimo, nella serie, vedere il passaggio della redazione da una sede più umile a quella sfarzosa, dopo il successo del Partito. È lui l’unico fascista, in questa serie, verso il quale lo spettatore prova simpatia: viene descritto come un ometto buffo, dal divertente e marcato accento toscano, dallo sguardo compassionevole verso le vittime (femminili) del Duce. Eppure, nella realtà dei fatti, era un fascista come tutti gli altri, dedito all’esaltazione della violenza, creatore della “Ceka nera”, la polizia segreta fascista, di sicuro vittima della stessa macchina nella quale era coinvolto, poiché alla fine è stato preso come capro espiatorio per il delitto Matteotti, finendo confinato a Ponza, mentre dopo la guerra, assolto dalle accuse legate all’affaire Matteotti, finì per scrivere per il giornale democristiano di Giulio Andreotti. 

Questo personaggio, seppur gradevole e ben interpretato dal buon Francesco Russo, risulta anche forzato perché troppo “buono”, dandomi la sensazione come se avessero dovuto mettere per forza qualcuno meno violento e simpatico per bilanciare il tutto. 

Passiamo ora al reparto tecnico: montaggio interessante, dinamico, che passa anche da scene a colori a quelle in bianco e nero, simili ai cinegiornali dell’epoca, con un B/N grezzo, sporco, d’annata. Ovviamente nulla di rivoluzionario, ma apprezzabile la scelta, dedicata anche per i meno avvezzi a un certo tipo di sperimentazione visiva.

Mentre le scene in bianco e nero sovrapposte a Mussolini che parla in primo piano e con le immagini in B/N alle spalle, non sono per nulla originali…lo faceva già Oliver Stone negli anni ‘90 con “Assassini Nati”! 

La regia di Joe Wright è fin troppo perfetta nella scelta simmetrica delle inquadrature, nelle numerosi sghembature e nei virtuosi movimenti di macchina, e rimane davvero difficile da criticare. 

Una colonna sonora moderna, ritmata, dai toni synth poteva stridere con gli anni ‘20 narrati, ma invece si plasma perfettamente con ciò che viene mostrato, rendendo piene di suspense o d’adrenalina anche semplici 

scene di dialogo o introspezione. 

Dopo aver visto la prima puntata avevo paura che la violenza fosse ridotta, perché nel primo episodio c’è ma è quasi sempre nascosta, nell’ombra, mentre mi sono ricreduto (per fortuna) dal secondo episodio in poi, quando ci sarà una scena di una violenza brutale, meravigliosa, con un montaggio alternato degli infami delitti delle “Squadracce” e di un primo piano del poeta Marinetti mentre decanta una sua classica poesia futurista. La scena migliore di tutta la serie, senza ombra di dubbio. È vero anche che la violenza fisica ha il suo apice nella seconda puntata, per poi passare a una maggiore violenza psicologica, fino ad un’altra esplosione di sangue legata all’omicidio del povero Matteotti. 

Nella quarta puntata, però, sono presenti le due scene più brutte non solo di questa serie ma forse tra le più brutte mai viste in una serie da molto tempo a questa parte, come quella della frase in inglese pronunciata dal Duce (non la scriverò per non rovinare la sorpresa, perché è davvero inaspettata, dovete credermi), davvero una scelta a dir poco squallida e poi, pochi minuti dopo, la classica battuta sui treni italiani che si potevano anche risparmiare. Comunque, due esempi esplicativi del perché questa serie sia stata così amata dalla maggior parte degli italiani medi. 

Nella sesta, invece, ci sono due battute che riprendono da diversi film cult: la prima viene pronunciata da Balbo, riprendendo un classico insulto del sergente Hartman in “Full Metal Jacket”; la seconda, detta da Cesarino, omaggia il Padrino e la sua celebre “offerta”. Entrambe le ho trovate un po’ fuori luogo e forzate. 

Infine, ecco i miei alle singole puntate: 

1a = 6,5/10 

2a = 8/10 

3a = 6/10 

4a = 5,5/10 

5a = 6,5/10

6a = 7/10 

7a = 7,5/10 

8a = 8/10

venerdì 17 gennaio 2025

CLASSIFICA DEI FILM USCITI NEL 2024 DAL PEGGIORE ... AL MIGLIORE!

77)“Madame Web” di S.J. Clarkson: semplicemente uno dei cinecomic più tremendi di sempre, perfino legato all’universo di Spider-man …

76)“The Crow-Il Corvo” di Rupert Sanders: un remake del cult del 1994, che più che altro è un oltraggio a quel bel film dalle atmosfere dark. Anche preso come film in sé … fa comunque schifo, grazie ad una trama raffazzonata, rapporti tra i vari personaggi ridicoli, veloci, e una recitazione imbarazzante.

75)“Mean Girls” di Arturo Perez Jr. & Samantha Jayne: altro remake di un altro film cult. Qui quantomeno si adatta dal teatro e il film precedente lo si lascia stare. Si è cercato di far qualcosa di diverso, dunque, realizzando un musical. Peccato che le coreografie facciano schifo (perché non esistono) e le attrici non possano essere iconiche come quelle del 2004. Scialbo.

74)“Here After” di Robert Salerno: un horror co-prodotto da Italia e Usa, ma che non fa paura manco per sbaglio, anzi. Un’esperienza premorte è il pretesto della classica storiella sulle possessioni.

73)“Night Swim” di Bryce McGuire: un altro horror che annoia soltanto. Qui abbiamo una piscina maledetta. Peccato che, da come è ripresa, dia allo spettatore soltanto voglia di farcisi un tuffo all’interno, altro che scappare!

72)“Dall’alto di una fredda torre” di Francesco Frangipane: l’eterno dilemma: a chi vuoi più bene, a mamma o a papà? Anonimo.

71)“Miller’s girl” di Jade Halley Bartlett: il classico film su rapporto non-tanto-scabroso alunno-professore, qui in una evidente versione per teenager.

70)“French Girl” di James A. Woods & Nicolas Wright: commedia poco divertente che mescola i film alla “Ti presento i miei” ai film sulla cucina. Unico motivo per guardarlo il mitico Zach Braff (JD in “Scrubs”), tristemente invecchiato.

69)“Dear Santa” di Bobby Farrelly: filmetto natalizio dove un satanico Jack Black, sempre divertentissimo, arriva in soccorso di un bambino dislessico (<<Dear Satan>>, scrive nella sua letterina, invocandolo per sbaglio) per farlo diventare più sicuro di sé. Nulla di originale, ma può strappare qualche risatina.

68)“January 2” di Zsofia Szilagyi: film ungherese abbastanza noioso incentrato su un trasloco di una donna appena divorziata. Girato anche bene, ma la pellicola non decolla mai. Visto su MyMoviesOne.

67)“Romina” di Michael Petrolini & Valerio Lo Muzio: sempre sulla stessa piattaforma è uscito questo documentario italiano socialmente impegnato che narra la vita di Romina, giovane ragazza di Bologna, divisa tra problemi familiari (madre ex delinquente) e la sua passione per la boxe.

66)“Apartment 7A” di Natalie Erika James: su Paramount+ è presente questo filmetto horror, prequel del capolavoro “Rosemary’s baby”; il film non fa paura manco per sbaglio, ma alcune scene sono comunque riuscite, come quelle più oniriche. I cattivi sembrano avere più ragione dei buoni, però …

65)“Race for Glory: Audi vs Lancia” di Stefano Mordini: questo film italiano sembra la brutta versione del recente “Ferrari” del grande Mann. Classico film sulle corse, si lascia guardare, nonostante uno Scamarcio non troppo in parte.

64)“Here” di Robert Zemeckis: incredibile delusione questo film parzialmente sperimentale di questo regista cult, che decide di utilizzare un’unica inquadratura all’interno di una casa, giocando col tempo (vedi la stessa tematica nel suo “Ritorno al futuro”), partendo dai dinosauri fino ai giorni nostri – c’è davvero di tutto, dai coloni, alla guerra, fino al periodo Covid. Peccato che il tutto sia uno spot per fare vedere quanto l’America sia brava, buona, felice e borghese. Montaggio temporale anticipato da sorta di ‘riquadri’ rettangolari che non ho proprio apprezzato, anche se rimandano al fumetto dal quale è tratto. Musiche pompose e CGI prepotentemente presente (mi avete distrutto “Irishman” per questo motivo, io ricambio così) …

63)“Emilia Pérez” di Jacques Audiard: eccoci qui con uno dei film più chiacchierati dell’anno, sicuro protagonista ai prossimi Oscar e già vittorioso a Cannes e ai Golden Globe. Un film indubbiamente ben diretto, che fonde gangster movie e musical (solo due le canzoni riuscite, per me), in più con il cambio di sesso come tema delicato inserito. Film che ha fatto infuriare i messicani per la rappresentazione stereotipata del paese. Spesso sembra scritto per una pubblicità-progresso. Bene Zaldana e Gascon (anche se non sanno parlare messicano, il che risulta tragicomico), male Selena Gomez. Ampiamente sopravvalutato.

62)“Materia vibrante” di Pablo Marin: cortometraggio sperimentale in bianco e nero dedicato a una città cara al cineasta.

61)“Extremely Short” di Koji Yamamura: corto d’animazione molto breve, in bianco e nero, ma ‘vorticoso’ e dinamico.

60)“Back to Black” di Sam Taylor-Johnson: la regista di quella perla di “Nowhere boy” (sull’infanzia di John Lennon), qui toppa - in parte – in quest’altro biopic musicale. Amy Winehouse torna in vita in una rappresentazione lineare, ben fotografata, ma piatta e senza sorprese.

59)“L’Empire” di Bruno Dumont: questo grande regista francese prova a fare un “Guerre Stellari” comico ambientato ai giorni nostri, nella nostra società. Il risultato, questa volta, non mi ha convinto del tutto, annoiandomi più volte. Comunque, da recuperare se si amano gli esperimenti tra generi cinematografici.

58)“Lisa Frankenstein” di Zelda Williams: la figlia del compianto Robin Williams esordisce con una commedia-horror per ragazzi, purtroppo non così originale, fondendo Burton e le storielle Disney. Tantissimi gli omaggi al genere horror e dark all’interno.

57)“Dagon” di Paolo Gaudio: purtroppo ‘soltanto’ un brevissimo corto italiano d’animazione, realizzato brillantemente in stop-motion, tratto dalla celebre storia di Lovecraft.

56)“A night at the rest area” di Saki Muramoto: altro corto d’animazione, ambientato in un’area di servizio popolata da animali antropomorfi delicatamente disegnati. (Piccola postilla: tutti i corti di cui ho parlato sono/erano su MyMoviesOne)

55)“Escape From Eden” di Lampros Kordolaimis: su Youtube ho trovato questo cortometraggio sperimentale di animazione in stop-motion, insieme a molti a diversi altri corti del regista usciti nel 2024. Ho preso questo come “simbolo”, in quanto è il più apprezzato su Letterboxd. Un’animazione grottesca, disturbante, quasi mostruosamente carnale e piena zeppa di simbolismi ma indubbiamente diretta con uno stile personale. Animazione estrema.

54)“Drive-Away Dolls” di Ethan Coen: il solo Ethan, senza il fratello Joel, delude molti suoi fan dirigendo un film brevissimo che sembra una parodia dei suoi successi, mischiando tantissimi argomenti in poco tempo. Un road movie sconclusionato che ha pochi momenti brillanti al suo interno.

53)“Challengers” di Luca Guadagnino: il tennis, caro Luca, non si “gioca” in tre, ma in due o in quattro, magari … il nostro regista non studia da Hitchcock e ci regala un triangolo amoroso che forse non ha colpito solo il sottoscritto. Regia per niente originale, “Intruder” ha inventato le inquadrature “trasparenti” decenni prima. Buona la colonna sonora.

52)“Sasquatch Sunset” di David Zellner & Nathan Zellner: una commedia praticamente muta su una famiglia di simil-uomini primitivi. Divertente soltanto a tratti, irriverente soltanto in poche scene, una pellicola che vive di una buona location naturale e di un ottimo trucco.

51)“Wolfs” di Jon Watts: divertissement relegato alla sola Apple Tv, questo film è la classica storia sui cleaner, coloro che ripuliscono la scena di un crimine. Dunque, si prende molto dai vari Tarantino, Soderbergh e dai Coen. I nostri divertenti Brad Pitt e George Clooney sono i classici personaggi che prima non si sopportano, ma poi fanno squadra contro qualcosa di più grande di loro. Un film divertente e divertito, ma anche vecchio e mediocre, che forse avrebbe dovuto essere solo un mediometraggio, perché funziona molto bene per i prima 30 minuti, tutti ambientati in un’unica stanza, quella del misfatto.

50)“Deadpool & Wolverine” di Shawn Levy: mentirei se dicessi che questo film non mi ha intrattenuto o fatto ridere almeno una volta. Un giocattolone che non ha una trama, quasi letteralmente, bed è un pretesto per generare gag ed effetto nostalgia a propulsione. Vincente il duo Reynolds-Jackman.

49)“Marcello mio” di Cristophe Honoré: Chiara Mastroianni sulle orme del padre in questo strambo film autobiografico, quasi documentaristico, che gioca su cosa è vero e cosa è falso. Un omaggio al cinema di un attore immenso e che manca moltissimo al nostro cinema.

48)“La vigilia di Natale nel Paese delle Meraviglie” di Peter Baynton: un film d’animazione natalizio per i più piccini, ambientato nel Paese delle Meraviglie e con protagonisti Babbo Natale, le sue renne, Alice e la Regina di Cuori. Buone le canzoni e le animazioni.

47)“Sleep n.2” di Radu Jude: l’irriverente regista rumeno ama sperimentare e con questo documentario di appena un’ora realizza un omaggio coerente ad Andy Wharol, riprendendo con un’inquadratura fissa la sua tomba, giorno e notte, mostrando i turisti e gli animali di fronte ad essa. D’altronde Wharol, come Dalì, ha fatto della sua persona arte/merce stessa.

46)“It’s not me” di Leos Carax: altro regista irriverente, il grandioso Leos, che dirige un documentario sperimentale, autobiografico, anche basandosi su tutti i suoi precedenti lavori.

45)“Among the palms the Bomb, or: looking for reflections in the toxic field of plenty” di Lukas Marxt & Vanja Smiljanic: questo documentario dal nome impronunciabile, che ho potuto visionare su MyMoviesOne, è notevole perché è un atto di denuncia sulle conseguenze delle continue sperimentazioni della Bomba Atomica nell’area del Salton Sea, dove c’è il più grande lago della California, ormai devastato. Interessante, girato con lunghi piani sequenza, ma forse dal ritmo troppo lento.

44)“Terrifier 3” di Damien Leone: terzo capitolo della saga horror dedicata ad Art il Clown, che qui veste i panni di una sorta di crudele e inedito Babbo Natale. Il film non ha una grande trama sulla quale sorreggersi, per questo punta tutto sullo splatter, sul gore, e sulle uccisioni sempre più estreme. E riesce a vincere, da un certo punto di vista.

43)“Another End” di Pietro Messina: il film aveva tutte le potenzialità per essere una piccola perla, anche se si è andati a prendere molto da “Black Mirror”; il regista italiano, aiutato da un cast internazionale d’eccezione, dirige un delicato film di fantascienza ambientato in un futuro prossimo trattando il tema del lutto.

42)“Where we used to sleep” di Matthaus Worle: documentario rumeno visto su MyMoviesOne, che mostra gli ultimi giorni di una donna ormai anziana nella sua vecchia abitazione, nei pressi di una imponente miniera, costretta a cambiare casa per la devastazione del territorio iniziato nell’epoca di Ceaucescu. Un atto di denuncia ecologista ma anche molto malinconico.

41)“Il Gladiatore 2” di Ridley Scott: un film di intrattenimento che ha diviso molti. Forse uscito un po’ fuori tempo massimo, ma per questo capace di riunire vecchi fan e nuove generazioni. Le scene di battaglia sono grandiose. Colpiscono, ma in negativo, gli errori storici e le pacchiane scritte in inglese. Buona, tuttavia, la ricostruzione storica (gli scorci di Roma sono maestosi, imperiali). Buona prova di tutto il cast, capeggiato da un Denzel Washington nella sua forma migliore.

40)“Vampire Zombies … from Space!” di Micheal Stasko: da recuperare se si è fan dei film di serie B horror degli anni ’50 e, ancor più nel dettaglio, dei crossover di mostri, come si evince dal titolo. Molto lo splatter, sempre gradito. Folgorante il bianco e nero utilizzato.

39)“Gloria!” di Margherita Vicario: esordio per questa giovane regista italiana (e attrice) che dirige con innata grazia e sensibilità un film quasi tutto al femminile e che ha moltissima musica al suo interno. La vita di alcune ragazze, rinchiuse in un convento nei pressi di Venezia, verrà sconvolta dall’arrivo di un pianoforte e dall’imminente visita del Papa in persona. Soddisfacente il finale: distruzione per la Chiesa reazionaria!

38)“A Man Fell” di Giovanni C. Lorusso: altro giro, altro documentario da MyMoviesOne … diretto da un regista italiano, ma girato in Palestina, con precisione all’interno di un vecchio ospedale ormai dismesso e ora abitato da palestinesi in riparo dalla guerra. Quello che colpisce sono le inquadrature perfette e la fotografia mirabile, quasi espressionista. La critica che gli è stata mosse è: serve davvero estetizzare al massimo una situazione di conflitto, di guerra, di povertà e disperazione? Quasi una questione morale, io non sento di dare giudizio. Visivamente impressionante, quello è sicuro.

37)“I saw the TV glow” di Jane Schoenbrun: un fantasy-horror parecchio apprezzato in giro per il mondo; un film di formazione che, aiutato da una fotografia dai colori al neon e da effetti speciali vincenti, parla dell’identità, della sessualità, ed è un omaggio alle serie tv (mediocri) della nostra infanzia.

36)“Confidenza” di Daniele Luchetti: l’attore feticcio del regista, il nostro grande Elio Germano, interpreta un professore alle prese con un segreto pesante, che lo tormenterà per l’intera vita. Belle le atmosfere cupe, quasi da thriller, peccato per l’indecisione sul finale (ce ne mostra ben tre!).

35)“Joker – Folie à Deux” di Todd Phillips: quanto ha fatto discutere questo film! Conosco cinefili che si sono tolti dai social, per un po’ di tempo, per via delle accese discussioni … detto questo, si riprende la tecnica e lo stile del primo film, ma si aggiunge l’elemento del musical, una scelta coraggiosa e (solo a tratti) vincenti. Bello l’inizio in animazione, peccato poi abbandonata. Come spesso accade, tra chi lo ha amato e chi lo ha detestato … io sto nel mezzo!

34)“A quiete place – Day One” di Michael Sarnoski: ammetto di apprezzare parecchio questa saga sci-fi horror, giunta già al terzo capitolo, che ne risulta essere il prequel. In un cinema dove si punta sempre più all’azione, alle esplosioni, alla frenesia, “A Quiete Place” rallenta i tempi e gioca col silenzio (i mostri alieni vengono aizzati dai rumori), abituando lo spettatore odierno ad essere più paziente. In questo film ci sono molti difetti, ma è capace di intrattenere. Bello l’arrivo degli alieni a New York. <<È IL RUMORE!>>

33)“Monkey Man” di Dev Patel: il celebre attore indiano, specializzato nelle commedie, esordisce a sorpresa alla regia con un thriller d’azione fortemente debitore della saga di John Wick. Botte da orbi, dunque, ma anche un omaggio alle bellezze dell’India, nella parte centrale.

32)“Alien Romulus” di Fede Alvarez: discusso capitolo della saga di “Alien”, che cerca di avvicinare un pubblico più giovane utilizzando un cast di soli attori under 30. Cerca pure di richiamare e collegarsi con trama e atmosfere allo storico primo storico film, riuscendoci solo in parte, tra ingenuità e scene visivamente riuscite.  

31)“In a violente nature” di Chris Nash: un horror molto particolare perché prende quasi tutto da “Venerdì 13”, ma lo unisce ai film più lenti di Gus Van Sant. Non mancano le scene disturbanti, di una violenza quasi inaudita, ma non mancano neppure i lunghi piani sequenza con i personaggi ripresi di spalle. Interessante, poi, il discorso sulla natura.

30)“The Last Showgirl” di Gia Coppola: operazione nata forse più per far vincere premi a una Pamela Anderson mai così brava; un film che ricorda fin troppo “The Wrestler” (ma al femminile) o il recente “Anora”, se non addirittura “Pearl”. Non ci si inventa nulla di nuovo, dunque, ma apprezzo sempre questi film dove viene mostrata una decadente esistenza difficile, se non impossibile, vissuta in terra statunitense. Gia Coppola, nipote del grande Francis, ha il pregio di dirigere con delicatezza (un po’ come sua zia) e la scaltrezza di far durare il film solo 1h20m, evitando di appesantirlo.

29)“I Dannati” di Roberto Minervini: coproduzione italo-statunitense. Siamo negli Stati Uniti d’America durante la Guerra Civile e un gruppo di soldati nordisti deve mappare alcuni desolati territori dell’Ovest. Film che appartiene di fatto allo “Slow Cinema”, al cinema più lento, ma capace di regalarci scene girate molto bene e fotografate con luce naturale. Il risultato è una sensazione di realismo impressionante.

28)“Saturday Night Live” di Jason Reitman: i 90 frenetici minuti che anticipano la prima messa in onda dello storico programma comico newyorkese. Ritmo frenetico, forsennato, attori giovani in parte, l’ansia che sale. C’è in ballo un appuntamento con la storia. Da vedere assolutamente.

27)“Caracas” di Marco D’Amore: diretto e recitato dallo stesso D’Amore (attore di “Gomorra”), ma capitanato da un immenso Toni Servillo. Un film molto particolare, ambientato nella Napoli più povera, che gioca con la realtà e con la finzione e che parla di tantissime altre cose, dal ruolo dello scrittore, alla società, passando per l’eterno fascismo. Colpisce, e non poco.

26)“The Devil’s Bath” di Veronika Franz & Severin Fiala: questa consolidata coppia di registi austriaci è una sicurezza. Anche con questo film folkloristico fanno centro, raccontando le credenze di un popolo e le difficoltà di una nuova vita coniugale, unendo il tutto a una tensione man mano sempre più palpabile. Quasi horror la sequenza finale, che lascia a bocca aperta. Location boschive d’impatto.

25)“A Fidai Film” di Kamal Aljafari: documentario sperimentale palestinese che racconta della distruzione dell’archivio palestinese a Beirut, nel 1982, a seguito dei tremendi bombardamenti sionisti in terra libanese. Un film sulla memoria importante e visivamente incredibile, a tratti.

24)“Dahomey” di Mati Diop: altro documentario, diretto questa volta da una regista francese giovane e sempre interessante. Film che ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino, nel 2024, e per un documentario non è roba da poco. Si parla del ritorno in patria, nel Mali, per una serie di manufatti locali rubati dai colonizzatori francesi e portati via, al loro arrivo. La cosa interessante è aver fatto prendere vita, come narratori, anche ad un paio di statue, aggiungendo quel tocco grottesco che eleva il documentario!

23)“Abiding Nowhere” di Tsai Ming-Liang: il mio regista preferito continua la sua serie sul “camminatore”, giunta ora al decimo capitolo, e che vede un uomo rasato e vestito con una tunica rossa che si muove letteralmente a passo di lumaca, sempre rigorosamente a piedi nudi. A Washington, il mitico Lee Kang-Sheng (l’attore feticcio del nostro regista), si muove tra luoghi iconici e strade secondarie; parallelamente, Anong (già visto in “Days”), si muove anch’egli fino ad incrociarsi, forse, col nostro camminatore. Inquadrature perfette, ritmo lentissimo, siete avvisati. Meditativo.  

22)“Chime” di Kiyoshi Kurosawa: un mediometraggio horror di una quarantina di minuti che sembra partire come un film di cucina (!), per poi passare ad una storia di fantasmi. Un lavoro che solo un regista come questo poteva fare, riuscendo ad essere sempre spaventoso e mai banale, raccontando la società odierna come pochi altri colleghi. E non è l’unico film di questo geniale regista presente in classifica!

21)“MaXXXine” di Ti West: l’ultimo capitolo di questa iconica trilogia, interpretata dall’immensa eroina Mia Goth, è un omaggio al cinema horror degli anni ’70, ma non solo: anche ad Hollywood intesa come industria, al nostro Argento, a Psycho e ai film erotici del cosiddetto Periodo d’Oro. Un thriller (non più un horror, questa volta) come non se ne girano più, fotografato divinamente e anche accusatorio verso gli estremismi religiosi.

20)“Dune – parte 2” di Denis Villeneuve: il regista canadese realizza un seguito del suo primo capitolo di questa nuova versione della saga fantascientifica per eccellenza. Migliorando ogni aspetto del primo film, realizza un sequel fotografato in maniera perfetta, con molta più azione e con i vermi del deserto sfruttati ancora meglio. Aspetto il terzo capitolo “Dune: Messiah” con ansia.

19)“Parthenope” di Paolo Sorrentino: c’è chi lo ha esaltato e chi lo ha detestato, per sapere la mia vi rimando alla mia analisi: adieu au cinéma: PARTHENOPE DI PAOLO SORRENTINO: TRA MITO, RIMANDI CLASSICI E PERFEZIONE TECNICA.

18)“The Fall Guy” di David Leitch: un sentito omaggio al (pericoloso) lavoro degli stuntmen. Un action comedy veramente adrenalinico e spassoso. Iconica tutta la sequenza con l’unicorno. Grandioso Ryan Gosling, bravissima come sempre Emily Blunt e altrettanto bravo Aaron Taylor-Johnson nel farsi odiare. Una piccola perla da non perdere per nessun motivo! Su Sky.

17)“Vermiglio” di Maura Delpero: film giustamente premiato a Venezia e candidato anche ai Golden Globe. Un film che richiama i vecchi film di Olmi, lenti, meditativi, realistici e immersi nella natura. Qui siamo in Trentino, si parla in dialetto, e abbiamo a che fare con una famiglia nel contesto della Seconda Guerra Mondiale. Inquadrature memorabili. Solo applausi per quest’altro ottimo lavoro della nostra Delpero.

16)“Cloud” di Kiyoshi Kurosawa: eccolo di nuovo il Maestro giapponese che, con questo film, denuncia la società di oggi, convinta di ottenere tutto truffando e con due semplici click. Il film è incredibile per come cambi pelle in continuazione, si parte da una base drammatica, si passa al thriller, si prosegue con l’home invasion, si arriva a toccare il western e si chiude quasi con l’horror. Semplicemente una lezione di cinema.

15)“From Ground Zero” di A.A.V.V.: su MyMoviesOne ho visto quello che è il miglior documentario dell’anno, girato e ambientato in Palestina. Una serie di numerosi cortometraggi girati ognuno con uno stile diverso, ma tutti autobiografici e ambientati nel bel mezzo del genocidio: c’è quello drammatico, ovvio, ma anche il corto d’animazione, uno con le marionette, un altro perfino musicale. L’insieme è meraviglioso, straziante, ma l’unico avvertimento che mi sento di dare è che questo film è veramente devastante, fa malissimo al cuore, forse sarebbe meglio perfino prenderlo a piccole dosi. Due ore di fila sono forse insostenibili. Devastante.

14)“The Apprentice – alle origini di Trump” di Ali Abbasi: di questo divisivo film biografico ne ho parlato recentemente in questa breve recensione: adieu au cinéma: IL FILM SU DONALD TRUMP: THE APPRENTICE!

13)“La stanza accanto” di Pedro Almodovar: il Maestro spagnolo al suo primo lungometraggio in lingua inglese. Un dramma che tratta il tema dell’accettazione del lutto capace di vincere il Leone d’Oro a Venezia. Visivamente impossibile da criticare, forse si perde un po’ narrativamente, man mano che la storia va avanti. Julianne Moore e Tilda Swinton sono due dee. Geniale l’omaggio al racconto “I morti” di Joyce. <<Cade la neve. Nella solitaria piscina che mai usammo. Nel bosco, dove passeggiammo e tu ti sdraiasti, esausta, sul suolo. Cade sopra tua figlia e sopra di me, sopra tutti i vivi e i morti.>>

12)“Rumours” di Guy Maddin & Galen Johnson: geniale commedia horror, dai tratti grotteschi, ambientata durante un summit dei politici del G7. I Capi di Stato si troveranno alle prese con una apocalisse zombie. Caratterizzazione di ogni politico semplicemente perfetta, satirica al punto giusto. Parecchio strambo il finale.

11)“Kinds of kindness” di Yorgos Lanthimos: film a episodi con gran parte del cast di “Povere Creature!”. Il primo capitolo è il migliore, il secondo sempre su buoni livelli, il terzo non mi ha appagato del tutto. Ne ho parlato nel dettaglio qui: Facebook

10)“Mads” di David Moreau: un horror di infetti girato in un unico piano-sequenza all’interno di un intero quartiere di una città francese. Non colpisce soltanto per l’arduo metodo in cui è stato girato, ma anche per la critica che si vuol fare ai giovani e alla loro vita povera, effimera, senza valori. Un lavoro tra i più interessanti usciti nel 2024 e un sicuro Cult futuro nel suo genere.

9)“Grand Tour” di Miguel Gomes: il regista portoghese realizza un road movie in giro per tutta l’Asia, narrando la storia di un amore (im)possibile agli inizi del Novecento. Lei cerca lui, innamorata, mentre lui scappa, quasi senza un motivo. Alla fine, il dramma. Nel mezzo, un film dalla doppia anima: prima viene mostrato solo lui, nella seconda parte lei; si alterna il bianco e nero e il colore; si vedono le loro storie, poi c’è una voce narrante durante scene di vita quotidiana filmata ai giorni nostri. Poesia allo stato puro.

8)“Civil War” di Alex Garland: un film che mostra una non molto improbabile Guerra Civile in tutti gli States dei giorni nostri è di per sé un film che non potevo non amare in partenza. Un road movie con un gruppo di giornalisti con l’obiettivo di arrivare alla Casa Bianca per filmare quello che nessun altro ha il coraggio di filmare. Un film crudo, psicologicamente violento, recitato benissimo soprattutto da Kristen Dunst e Jesse Plemons. Il finale, con quella sorta di passaggio di testimone, è il simbolo della spietatezza di un paese. Gli Stati Uniti d’America non esistono più, e io non potevo non amarlo.

7)“Giurato n.2” di Clint Eastwood: probabilmente l’ultimo film del Maestro. E che ultimo ballo. Un film sulla giustizia, perfettamente coerente con le storie sulla moralità che Clint ha da sempre raccontato. Cosa faresti se venissi chiamato a fare il giurato in un processo dove il colpevole, in realtà, sei proprio tu stesso? Clint non copia da Lumet (“La parola ai giurati”), come hanno detto alcuni, ma ne comprende la lezione per scaturire nuove domande e interrogativi morali. Finale da incorniciare. La fine di un’era.

6)“The Substance” di Coralie Fargeat: un body horror che non sarà poi così tanto originale, prendendo non solo dai maestri del genere Yuzna e Cronenberg, ma da tutta una serie di film divenuti cult … ma che ce ne importa, quando le immagini sono così stupende, da incorniciare. Trucco a livelli incredibili. Demi Moore pronta per vincere un Oscar con una prova inedita, vissuta, disgustosa; la giovane Margaret Qualley che si consacra come nuova stella del cinema. Un horror che distrugge Hollywood e che con il finale esplicito sulla Walk of Fame chiude un cerchio iniziato con l’incipit stesso del film. Mostruoso. 

5)“Longlegs” di Oz Perkins: ancora più bello questo piccolo capolavoro che fonde il thriller con l’horror esoterico. Un Nicolas Cage inedito, poi, sugella il tutto. Atmosfere malsane. L’ho già recensito qui: adieu au cinéma: LONGLEGS - LA CONSACRAZIONE DI OZ PERKINS

4)“Anora” di Sean Baker: un film di una delicatezza unica. Mikey Madison diventa grande interpretando la giovane sex worker Anora, detta ‘Ani’, in un film debitore del cinema realista di Loach, ma anche del nostro Fellini (“Le notti di Cabiria”). L’ho approfonditamente recensito qui: adieu au cinéma: ANORA, DAI BASSIFONDI ALLA PALMA D'ORO

3)“Megalopolis” di Francis Ford Coppola: un film sul quale non ho scritto nulla perché è di una complessità unica e merita di essere visto più volte per essere compreso del tutto. Eppure, un lavoro affascinante, sofferto (doveva uscire negli anni ’70), eppure critico verso una società allo sbaraglio. Podio più che meritato. Grazie, Francis.

2)“Furiosa: a Mad Max Saga” di George Miller: semplicemente un film d’intrattenimento perfetto … tecnicamente, visivamente, narrativamente tutto funziona alla perfezione. Essendo un prequel la storia la conosciamo già, eppure riesce lo stesso a tenerti in tensione per tutto il tempo come solo un esperto del settore come Miller sa fare. Sarà che questo film l’ho visto completamente da solo in sala – non mi era mai successo – ma l’ho amato ancor più del capolavoro “Fury Road”. Qui la mia recensione completa: (1) Facebook

1)“Nosferatu” di Robert Eggers: il giovane regista britannico aveva due mostri sacri da superare, la versione del 1922 di Murnau e quella del 1979 di Herzog, mica pizza e fichi. Ci sarà riuscito? Beh, se l’ho messo al primo posto del 2024, questo suo remake, un motivo di certo ci sarà … qui la mia recensione più seria e articolata: Facebook

CONSIDERAZIONI: il 2024 è stato un notevole anno, dal punto di vista cinematografico, anche se lontano anni luce dalla qualità eccelsa di un 2019 o 2023. Il 2024 è stato l’anno del cinema di genere, di intrattenimento, in particolar modo dell’horror. Nella mia top 10, infatti, così come in quella di molti, sono presenti diverse pellicole cosiddette "dell’orrore", nel mio caso ben 4 su 10 ne fanno parte! Il grande assente in questa mia classifica è senza ombra di dubbio “The Brutalist” che, mentre scrivo, è a soli una quindicina di giorni dall’uscita in Italia. Il film, già acclamato nel resto del mondo, sarà sicuro protagonista a marzo, nella serata degli Oscar.

lunedì 13 gennaio 2025

CLASSIFICA DEI DISCHI USCITI NEL 2024

70) Charli XCX con “Brat”: il disco più recensito dell’anno, al vertice di ogni classifica di ogni critico musicale o appassionato del mondo … ma non nella mia classifica, visto che la chiude! Anche perché, molto semplicemente, non essendo un fan ed esperto dell’hyper-pop, non posso valutarlo coerentemente. Musica che può intrattenere, specchio dei tempi, ma che non riesco a capire.

69) Jamie XX con “In Waves”: il disc jockey britannico realizza un disco di musica elettronica molto tendente all’house, con canzoni degne di essere suonate nelle discoteche. Non è la mia comfort zone, ma nel suo campo è musica di qualità.

68) Clairo con “Charm”: un disco di cantautorato molto soft e dai toni vellutati, seppur molto anonimo e dimenticabile, per la giovanissima cantautrice americana, di soli 26 anni.

67) Ulcerate con “Cutting the throat of God”: band neozelandese che suona un metal brutale, estremo, per palati fini e appassionati del genere.

66) Opeth con “The last will and testament”: la band progressive metal svedese ci delizia con un lavoro di indubbia qualità. Purtroppo, non rientrando nelle mie corde il genere in questione, questo album rimane rilegato nei bassifondi della classifica.

65) Pinguini Tattici Nucleari con “Hello World”: passi avanti rispetto al deludente “Fake News”. Qui tornano le canzoni orecchiabili che i Pinguini sanno creare. Un lavoro commerciale e lontano dall’originalità dei primi album, ma divertente e perfetto da ascoltare in compagnia, con gli amici.

64) Lip Critic con “Hex Dealer”: un post-punk aggressivo influenzato da tantissimi altri generi come il synth, l’elettronica e il noise. Caotico e ipnotizzante.

63) Magdalena Bay con “Imaginal Disk”: il duo synth-pop, appena al secondo album, realizza un disco lungo ma ben scritto, specialmente dal punto di vista delle musiche, mai banali. La seconda parte mangia la prima. La voce della cantante Mica non rientra nelle mie corde e per questo, ahimé, lo penalizza molto.

62) MGMT con “Loss of life”: ormai più che una sicurezza, questo duo che fonde pop, rock e synth.  

61) The Smile con “Wall of Eyes”: primo dei due album usciti quest’anno dal nuovo gruppo di Thom Yorke, che qui ricalca i suoi ultimi lavori con i Radiohead. Troveremo molto più avanti Yorke & Co. decisamente più ispirati.  

 

 

60) Venturing con “S/T”: un brevissimo Ep della cantante hyper-pop Jane Remover, che qui abbandona il suo genere musicale così come il nome, a sorpresa. Un preludio al suo prossimo album, dalle venature molto più indie rock e intime? Speriamo di sì.

59) Kim Gordon con “The Collective”: ennesimo album della leggendaria ex bassista dei Sonic Youth, che si è ormai abbandonata alla trap, per fortuna ancora molto influenzata dall’industrial e dal noise.

58) Kendrick Lamar con “GNX”: Lamar fa il suo, l’album si fa ascoltare. Poche questa volta le canzoni memorabili, però. Hip hop sicuramente di alto livello.

57) Blue & Exile con “Love (the) Ominous World”: hip-hop classico, come quello che si faceva una volta, piacevole da riesumare.

56) Linda Thompson con “Proxy Music”: la storica cantautrice britannica, da tempo malata e impossibilitata a cantare, dunque aiutata dai figli e da ospiti illustri scrive un album che risulta un omaggio al folk britannico di un tempo. Canto del cigno.

55) Lamante con “In memoria di”: dall’Italia arriva Giorgia Pietribiasi, in arte Lamante, una giovane cantautrice che scrive benissimo i suoi testi. Le sue sono canzoni personali, narrate sempre dal suo (femminili) punto di vista e cantante in modo personale e aggressivo. Da tenere d’occhio.

54) Sorelle gemelle lasciate in castigo con “S/T”: questo progetto vincente ci regala canzoni indie rock sicuramente ben scritte e che sembrano uscite dagli anni ’90. Potente.

53) David Gilmour con “Luck and strange”: un chitarrista esperto che, piaccia o non piaccia, ha fatto la storia del rock mainstream e che oggi riflette sulla vita e sulla morte. Ottimo blues-rock.

52) Beth Gibbons con “Lives Outgrown”: la voce angelica della leader dei Portishead risplende da sola in questo suo album intimo, molto calmo e cupo, senza dubbio memorabile.

51) English Teacher con “This Could Be Texas”: per molti è stata la rivelazione dell’anno. Per me, “soltanto” un buon album. Un post-punk come va di moda oggi cantato da una voce femminile d’eccezione.

50) King Hannah con “Big Swimmer”: un album dai suoni pacati e sognanti, un post-rock sicuramente ben suonato e ‘riflessivo’.

49) Idles con “Tangk”: una delle band più note del momento, capace ormai di sfornare un album dopo l’altro. Questo qui è nella media, un paio di canzoni sono clamorose, molte altre dimenticabili.

48) Yard Act con “Where’s my utopia?”: altra band post-punk, ma un po’ meno conosciuta della precedente. Questo album è leggermente superiore a quello degli Idles. Un bel viaggio, con canzoni che contengono anche molti campionamenti.

47) Yikii con “Chorion”: dal nord della Cina, arriva questa giovane e misteriosa cantante sperimentale che, con atmosfere macabre, quasi uscite da un film di Tim Burton, delizia e inquieta le orecchie degli ascoltatori al medesimo tempo.

46) Gao The Arsonist con “And they mine for our bodies”: un hip-hop sperimentale, con basi originali e creative, che suonano come la copertina scelta per il disco, ovvero il ‘Saturno che divora i suoi figli’ di Goya. Quaranta minuti piacevoli e sognanti.

45) The Jesus Lizard con “Rack”: ben 26 anni dopo, ecco l’inaspettato ritorno dei JL, uno dei gruppi noise rock più dirompenti e importanti degli anni ’90. Infatti, lì sono rimasti, come se il tempo per loro si fosse fermato. Per molti altri potrebbe essere un difetto, per loro non lo è. Il disco è suonato con forza e con grande mano. Non ci sono canzoni memorabili, ma le vibes di una volta.

44) JPEGMAFIA con “I Lay Down My Life For You”: molto meglio questo album, se parliamo di hip-hop, con una produzione superiore. Collaborazioni ottime. Diverse canzoni sono piccole bombe a orologeria, da ascoltare a ripetizione. Grande rapper, Hendricks.

43) Fire-Toolz con “Breeze”: una piccola bomba pronta a esplodere, questo folle lavoro dell’artista transessuale Angel Marcloid. Delle canzoni che, appunto, esplodono da un momento all’altro, con sfuriate metal-noise-techno impreviste. Forse un po’ lungo, però sperimentale e divertente. Da suonare … per rovinare un party tra amici!

42) Uniform con “American standard”: sarò onesto, ho ascoltato questo disco per via della bellissima copertina. Non ha deluso le mie aspettative. Un noise rock con atmosfere industrial, come le fabbriche della copertina, con una prima traccia d’apertura di ben 21 minuti, di certo il pezzo migliore.

41) The Body con “The Crying Out Of Things”: due album in un anno anche per questa band difficile da etichettare, ma identificabile forse nel metal più astratto. Il secondo album lo troveremo di gran lunga più in alto in classifica.

40) Baby Rose & BADBADNOTGOOD con “Slow Burn”: Ep di una ventina di minuti cantato da questa giovane cantante di origini afro, classe 1994 – per molti la nuova Nina Simone – e prodotto dalla band strumentale di cui potete leggere il nome. Che voce, la ragazza!

39) Bassolino con “Città futura”: ci parla della sua Napoli, l’artista partenopeo, qui al suo esordio. Un disco fusion, che ha poche tracce cantate in napoletano, ma che è suonato benissimo. Non è la mia comfort-zone, ma è un disco che spacca.

38) Johnny Cash con “Songwriter”: molti saranno contrari a questi progetti (sicuramente di matrice economica), ma queste tracce riesumate del compianto Cash, maestro indiscusso del country, mi hanno emozionato tantissimo.

37) Charles Lloyd con “The Sky Will Still Be There Tomorrow: lo storico sassofonista statunitense, a 86 anni, compone un album lunghissimo (oltre 1h30m di durata) ma suonato divinamente. Ogni strumento fa il suo alla perfezione, dal sassofono al piano, passando per i bassi fino ad arrivare ai fiati. Forse il disco suonato meglio dell’anno.

36) The Garden con “Six Desperate Ballads”: un breve Ep di questo duo di gemelli che sperimenta con il rock alternativo. Tracce brevi, fresche, scatenate e che non si dimenticano facilmente. Speriamo sia il preludio per un nuovo ottimo disco, nel 2025.

35) The Dopamines con “80/20”: il pop-punk più divertente dell’anno. Disco che finalmente consacra la band in questione, mai così in forma. Si sono divertiti e si sente: scorre via che una bellezza.

34) Knocked Loose con “You won’t go before you supposed to”: un disco metalcore con rimandi all’hardcore-punk e che dura poco, ma intrattiene a dovere. Una piccola sorpresa che ti rimbomba in testa per diverso tempo.

33) Hoboken Division con “Psycholove”: band francese di rock alternativo che riesce a creare canzoni non banali e orecchiabili, tendenti al garage.

32) Jack White con “No name”: White è ormai una istituzione nella scena rock contemporanea e con questo album di blues rock influenzato dal garage è ben capace di ricordarcelo.

31) Anaiis & Grupo Cosmo con “S/T”: album bellissimo della giovane artista franco-senegalese, accompagnata dal gruppo brasiliano. Cantato benissimo nella doppia lingua inglese e portoghese, suonato forse meglio. Tantissime le influenze di bossa nova e samba all’interno.

30) Roge con “Cuyman II”: seguito del primo Curyman per questo cantautore brasiliano apprezzato in patria; disco di musica popolare brasiliana veramente intenso e travolgente.  

29) Destroy Boys con “Funeral Soundtrack 4”: un disco punk fresco, rapido, da ascoltare più volte. Cosa volere di più?

28) The Smile con “Cutouts”: eccoli qui gli ‘Smile’ di Yorke, una delle voci maschili migliori al mondo, decisamente più in alto in questa classifica, con un lavoro ispirato e molto più sperimentale dell’altro.

27) Molchat Doma con “Belaya Polosa”: ecco i bielorussi dei Molchat Doma in tutta la loro bellezza, con un album forse un po’ troppo lungo, ma a tratti perfino ballabile! Il decadentismo post-sovietico al suo massimo splendore!

26) Tyler, The Creator con “Chromakopia”: se ‘Brat’ è stato il disco più chiacchierato, questo viene subito dopo. D’altronde parliamo di un artista geniale, che ha meritato il suo successo. Qui il rapper si trova nel bel mezzo della sua carriera ad interrogarsi sulle sue origini, sulla sua famiglia, sulle sue radici. C’è chi lo ha amato e chi no, io faccio parte del primo gruppo.

25) Ezra Collective con “Dance, No One’s Watching”: un disco di jazz puro, di questo quintetto afro-londinese, perfetto da mettere in una serata tra amici, visto che è capace perfino di farti ballare. Ritmo travolgente, ma elegante.

24) Vampire Weekend con “Only God Was Above Us”: il disco più maturo di questa band indie-rock che scoprii, anni fa, su un videogioco di calcio. Sempre gradevoli, mai banali. Il disco della loro consacrazione e maturità.

23) Mdou Moctar con “Funeral for Justice”: dai deserti del Niger, dall’Africa colonizzata dalla Francia, arriva questo chitarrista che ci regala un blues-rock africano di qualità enorme. Per alcuni è il nuovo Jimi Hendrix … chissà, il ragazzo ha ancora molta strada da fare, ma l’ingombrante paragone già fa capire dove stiamo andando a parare.

22) Bad Nerves con “Still Nervous”: il pop-punk come dovrebbe essere. Tracce veloci, orecchiabili, aggressive. Sono appena al secondo album, questi ragazzi, ma per me già sono un punto di riferimento.

21) Richard Thompson con “Ship To Shore”: negli anni ’70, insieme alla moglie Linda (già recensita all’inizio della classifica), fece scuola per quanto riguarda il folk britannico. Oggi, da solo, realizza un disco orecchiabile, che mi ha intrattenuto e che ha alcune perle al suo interno.

20) The Cure con “Songs of a Lost World”: altro clamoroso ritorno dopo 16 anni! La tecnica non sembra averne risentito perché si rispolverano perfino le sonorità di ‘Disintegration’. Canzoni lunghe, coraggiose, sognanti. Commovente.

19) GY!BE con “No title as 13 February 2024 28,340 Dead”: già dal titolo è chiaro come sia uno dei lavori più politici dei nostri, schierati contro il genocidio in Palestina. Per molti sono vecchi e ripetitivi, ormai ammuffiti … macché, per me suonano ancora da Dio e fanno scuola a molti!

18) Effluence con “Necrobiology”: altro disco simile ai precedenti, ma sempre un piacevole-disturbante ascolto.

17) Pharmakon con “Maggot Mass”: ci era mancata Pharmakon, assente da cinque anni. Qui torna con un disco che è un inno alla natura, ma alla maniera della nostra, quindi con un cantato urlato, disturbato e disturbante. Sembra di sentire una strega lanciare i suoi anatemi dalla sua casa nel bosco. Adorabile.

16) St.Vincent con “All Born Screaming”: un’artista francese ormai affermata che riesce a non sbagliare mai un disco, aggiornandosi di volta in volta, molto semplicemente. Ennesima grande prova di questa ragazza.

15) Bill Ryder-Jones con “Iechyd Da”: altro disco di un cantautore capace di colpirti al cuore con canzoni semplici, ma mai banali. Tantissimi i pezzi memorabili all’interno di questo sentito album. Poteva stare anche più in altro, se non fosse per gli altri eclatanti dischi che andrò a menzionare…  

14) Geordie Greep con “The New Sound”: Il cantante classe ’99 (!!!), già ex frontman dei Black Midi, qui all’esordio come solista, realizza un disco straordinario, perfino con influenze jazz e di musica brasiliana al suo interno. Una voce matura, che sembra quella di un veterano e non di un ragazzo. Incredibile!

13) Fontaines D.C. con “Romance”: il loro lavoro più accessibile, un post-punk che si fa molto più orecchiabile e da hit radiofonica. Un perfetto compromesso tra creatività e commercialità. Un passo avanti notevole per la talentosa band irlandese.

12) Father John Misty con “Mahashmashana”: avevo conosciuto questo artista con la sua collaborazione in un pezzo dell’ultimo album di Lana del Rey; perciò, ho deciso di dargli una chance. Mai scelta si rivelò più azzeccata. Delle canzoni intime, travolgenti, soprattutto quelle più lunghe. Un viaggio quasi spirituale.

11) Adrianne Lenker con “Bright Future”: un cantautorato personale, intimo. Canzoni scritte sempre benissimo, cosa non facile per tutta la durata di un disco. Cantate, poi, con una voce divina e unica. Devastante. ‘Sadness as a gift’ vince il mio inutile premio come miglior canzone del 2024.

10) Xiu Xiu con “13’’Frank Beltrame Italian Stiletto with Bison Horn Grips”: questo album dal nome impronunciabile fa tornare la band e il suo unico frontman, Jamie Stewart, ai livelli altissimi di una volta, finalmente. Grande lavoro.

9) The Last Dinner Party con “Prelude to Ecstasy”: cinque talentose ragazze al loro esordio e cosa ti tirano fuori? Un disco imperdibile. Un pop barocco che prende da numerosi artisti del passato, ma che risulta personalissimo. Tantissime canzoni indimenticabili, molte ballabili, altre malinconiche. È già cult.

8) The Pleasants con “Rocanrol in Mono”: come sarebbero i Ramones se suonassero oggi? Ecco la risposta. Un disco strano, perché è appunto un punk molto simile a quello dei Ramones, dunque anche impossibile da non amare!

7) The Body & Dis Fig con “Orchards of a Futile Heaven”: collaborazione perfetta tra la band doom metal e la cantante Dis Fig, che si rifà alle urla di Lingua Ignota. Un viaggio oscuro, mistico, denso … una collaborazione vincente!

6) Alcest con “Les Chants De l’Aurore”: i francesi Alcest, gruppo veterano dell’ambient metal, suonano ancora divinamente e ce lo ricordano con questo ennesimo capolavoro, dove ogni traccia vale il prezzo del biglietto. Immortali.

5) Billie Eilish con “Hit Me Hard and Soft”: con il primo album mi aveva sorpreso, creando hit potenti e orecchiabili; col secondo mi ha annoiato a morte, creando un album dimenticabile; con questo terzo album si è ripresa senza ombra di dubbio, scrivendo canzoni orecchiabili e ancora una volta vincenti. Bentornata, Billie!

4)Chelsea Wolfe con “She Reaches Out to She Reaches Out to She”: lei è una delle mie artiste preferite. Da anni non sbaglia un’uscita e anche questa volta riesce a sfornare un disco dalle atmosfere cupe e immersive. Il suo classico ambient metal qui influenzato addirittura dal trip hop. Una sicurezza.

3)Mercury Rev con “Born Horses”: negli anni ’90 hanno riscritto la storia della musica rock, creando nuove regole all’interno della psichedelia; oggi, con la loro esperienza, possono permettersi un disco più intimo, riflessivo, poetico, pacato. Testi eccellenti e musiche da sogno, cosa chiedere di più? Maestri.

2)Cindy Lee con “Diamond Jubilee”: un artista ancora poco conosciuto, sicuramente molto particolare (nei live si traveste da donna). Qui tira fuori un doppio album lunghissimo (due ore) ma che scorre via senza alcun problema. Il disco sembra come uscito da una vecchia stazione radiofonica perduta di vecchie canzoni sconosciute degli anni ’60 e ’70, dai toni sognanti e offuscati. Per me è stato come una rivelazione.

1)Nick Cave & The Bad Seeds con “Wild God”: finché esisterà Nick Cave – e i suoi Semi Cattivi – non potrò che metterlo al primo posto, perché ogni volta riesce a comporre un album capace di emozionarmi, incantarmi e farmi innamorare della sua musica ancora di più, se possibile. Passano gli anni, cambia sempre qualcosina nella sua musica, ma l’evoluzione finale è sempre memorabile. Non smettere mai, Nick. Inno alla gioia.


lunedì 6 gennaio 2025

CLASSIFICA DEI LIBRI LETTI NEL 2024

MENZIONE D’ONORE: “Il richiamo di Cthulhu” di H.P.Lovecraft: non tanto per la storia in sé, che già avevo letto e che rimarrà per sempre un caposaldo dell’horror cosmico, ma per l’edizione Mondadori della collana Coralli, un acquisto obbligatorio per gli appassionati. Un’edizione tascabile, illustrata e con una copertina stupenda.

35) “Alabama” di Alessandro Barbero (2021): avevo grandi aspettative per questo romanzo, ma la scrittura di Barbero forse non fa per me. Il libro, seppur scritto benissimo (sembra davvero di sentir parlare un veterano della Guerra Civile americana, dato che l’autore ne copia perfettamente lo slang), è altresì monotono e piatto: ogni capitolo si apre sempre con le parole vomitate a raffica dal vecchissimo veterano e poi si chiude con due righe di pensieri della giovane intervistatrice evidenziati in corsivo. Il nostro Barbero continuo a preferirlo come divulgatore, anziché romanziere.

34)“Ombelicale” di Andres Neuman (2023): qui parliamo del miglior scrittore di racconti brevi dei giorni nostri … purtroppo in questo caso sceglie di scrivere un brevissimo libro di memorie, sotto forma di pensieri, legato alla nascita del primo figlio. Un lavoro figlio più della noia imposta dal lockdown che da un vero intento artistico. Molti pensieri, infatti, sono inutili o ripetitivi.

33)“Il sogno dello zio” di Fedor Dostoevskij (1859): ho preferito certamente altro del buon vecchio “Dosto”, questa novella umoristica mi ha lasciato poco o nulla.

32)“Dalla mia terra alla terra” di Sebastiao Salgado (2014): una sorta di autobiografia del maestro della fotografia in bianco e nero. Purtroppo, non abbastanza approfondita. Sembra di leggere, infatti, a grandi linee, quelle biografie in pillole che si trovano a inizio libro, solo un poco più approfondita. Da recuperare solo se si è fan dell’artista brasiliano.

31)“Giorni di grazia” di Arthur Ashe (1993): l’autobiografia del vecchio campione di tennis, primo nero campione a Wimbledon e primo campione slam dell’era Open, poi scomparso tragicamente a causa dell’AIDS. Straziante il finale.

30)“La sovrana lettrice” di Alan Bennett (2007): spassoso questo brevissimo romanzo di un autore forse più a suo agio con il teatro. Il finale, però, è davvero indimenticabile.

29)“Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach (1970): un vero classico del ‘900 più recente, questo brevissimo testo riesce sicuramente a colpire ancora oggi per la sua originalità e i discorsi filosofici e per le grandi metafore.

28)“Dialoghi in cielo” di Can Xue (1989): c’è anche un po’ di Cina in questa classifica, con Can Xue, scrittrice da anni candidata alla vittoria finale del Nobel. Questa esile raccolta di racconti è davvero stramba, molto criptica, con racconti che flirtano con le assurdità di Kafka. Mi aspettavo altro da questa autrice, ma resta una penna da approfondire.

27)“Collezione di sabbia” di Italo Calvino (1984): una raccolta di brevi saggi e recensioni del celebre scrittore ligure. Alcuni colpiscono più di altri, per forza di cose, come quelli sulla Colonna di Traiano, su un artista creatore di francobolli molto particolari, su un saggio dettagliato sulle fate e i folletti scritto da un vecchio reverendo, sul Codex Seraphinianus e molti altri ancora ...

26)“Mucchio d’ossa” di Stephen King (1998): una storia di fantasmi abbastanza classica, anche per un maestro del brivido come il Re, in questo caso. Si legge con piacere, ma non ti cambia la vita.

25)“La fuga del Signor Monde” di Georges Simenon (1945): un romanzo che non è un giallo, come si potrebbe pensare, ma un ritratto psicologico di un uomo borghese che decide di scappare da tutto e da tutti, dai suoi doveri lavorativi e dalla sua odiosa famiglia, ricominciando una nuova squallida esistenza da zero. La trama è decisamente avanti con i tempi e forse avrà influenzato altre storie come questa, perché oggi ce ne sono a iosa.

24)“Il club dei parenticidi” di Ambrose Bierce (1989): breve raccolta composta da quattro racconti, che risulta incredibilmente macabra anche ai giorni nostri, nonostante i circa centocinquanta anni sul groppone. Fidatevi di me, le descrizioni degli omicidi sono davvero disgustosi e senza alcuna pietà.  

23)“Alla gola” di Henry Hoke (2023): chiacchierato libro dalle tinte ecologiste che narra di un puma che abita proprio sotto la celebre scritta “H O L L Y W O O D” e che spesso ha a che fare con gli esseri umani che vi fanno visita. Il puma in questione non ha mai mangiato un essere umano, sarà giunto il fatidico momento? Il libro è narrato dal puma stesso, dunque in prima persona, sotto forma di poema romanzato. Le premesse sono notevoli, lo svolgimento un po’ prolisso. Se si amano gli ibridi di fiction e poesia, un esperimento da non perdere.

22)“Goethe Muore” di Thomas Bernhard (2010): una piccola raccolta di quattro racconti, che è stato anche il mio approccio a questo gigante della letteratura. I racconti sono, in questo caso, molto autobiografici (tema ricorrente della famiglia) e più di un Bernhard degli esordi.

21)“La donna mancina” di Peter Handke (1976): lo scrittore austriaco, vincitore del Nobel nel 2019, realizza un ritratto psicologico di una donna di mezza età ancora oggi molto forte, avanti coi tempi, e scritto con perizia tecnica.

20)“Questa è l’acqua” di David Foster Wallace (2009): questa raccolta è celebre per ospitare l’omonimo illuminante discorso pronunciato dallo scrittore a una cerimonia dei diplomi; inoltre, buttati in mezzo un po’ a casaccio, ci sono dei bellissimi racconti, la maggior parte degli esordi. Non ho capito soltanto la scelta di abbinare racconti di stampo satirico-psicologici e immaturi a un discorso filosofico e, al contrario, estremamente maturo.

19)“You like it darker” di Stephen King (2024): il grande ritorno di King ai racconti brevi con una raccolta davvero indimenticabile che col tempo sarà ricordata come uno dei suoi vertici in questo campo. Come da tradizione col King più recente, il sovrannaturale non serve per provocare spavento, quanto per caratterizzare il ritratto psicologico del protagonista della storia o per suscitare tanta malinconia. ‘Serpenti a sonagli’, ‘L’incubo di Danny Coughlin e ‘Due bastardi di talento’ i migliori racconti.

18)“Notizie dalle tenebre” di Joe R. Lansdale (2014): altro giro, altra raccolta. Che dire? Un altro scrittore che fa della fantasia orrorifica il suo marchio di fabbrica, rafforzato dalla sua passione sconfinata per il noir, il western, il cinema, la musica blues. ‘Mr. Orso’ e ‘La caccia: prima e dopo’ sono senza ombra di dubbio due racconti IMPRESCINDIBILI.

17)“Manodopera” di Diamela Eltit (2002): un romanzo cileno socialmente impegnato che tratta dell’alienazione sul luogo di lavoro descritta in maniera davvero originale e sorprendente, in due parti ben distinte, ma sempre in egual modo spiazzanti.

16)“McGlue” di Otessa Moshfeg (2014): arrivato con dieci anni di ritardo, in Italia, l’esordio della scrittrice di origini iraniane, che ormai, ad oggi, è già una penna affermata. Ne parlo nel dettaglio qui: (5) Facebook

15)“L’amante fedele” di Massimo Bontempelli (1953): una raccolta di racconti di realismo magico italiano, in buona sostanza, premiata col Premio Strega. Una valida alternativa ai racconti di Buzzati. Se vi piacciono quei racconti lì, allora questa raccolta è per voi indispensabile.

14)“Futbol” di Osvaldo Soriano (1998): delle storie folli, quasi tutte che hanno a che fare in maniera più o meno diretta con il calcio. Realtà, politica, fantasia e sport intrecciati da un legame indissolubile. Ho amato questa raccolta dalla prima all’ultima pagina.

13)“Vite istantanee” di Andres Neuman (2018): qui decisamente più in alto, lo scrittore argentino è al pieno della sua forma con questi geniali racconti brevi.

12)“I baffi” di Emmanuel Carrère (1986): un hitchcockiano Carrère degli esordi, ancora lontano dai lavori di non-fiction. Ne parlo in maniera più dettagliata qui: (5) Facebook

11)“La panne. Una storia ancora possibile” di Friedrich Durrenmatt (1956): un racconto inquietante e folle allo stesso tempo. Un venditore con l’auto in panne è ospite di tre pazzi ex magistrati e avvocati che decidono di metterlo a processo. Kafkiano è dir poco.

10)“Povere creature!” di Alasdair Gray (1992): incredibilmente diverso dal film di Lanthimos, capace però di condividere certe vibes. Un lavoro metaletterario a scatole cinesi che risulterà indubbiamente divertente e intrattenente per il lettore.

9)“Tennis, tv, trigonometria e tornado” di David Foster Wallace (1997): una raccolta di saggi e reportage similare a “Considera l’aragosta”. Un Wallace al meglio della sua forma vi racconterà delle sue esperienze tennistiche interrotte da un tornado, di una anonima fiera dell’Illinois, esplorerà poi con lungimiranza l’arte cinematografica di David Lynch e, infine, analizzerà il rapporto degli scrittori con la tv.  

8)“Bengodi e altri racconti” di George Saunders (1996): una raccolta di racconti fondamentale di uno degli scrittori post-modernisti più importanti di sempre. La scrittura di Saunders è qui a livelli altissimi.

7)“Midland a Stilfs” di Thomas Bernhard (1971): altra brevissima raccolta del maestro austriaco, in cui svetta il kafkiano racconto “Il mantello di loden”. Anche l’omonimo racconto, però, è da considerare un piccolo capolavoro.

6)“Luce d’agosto” di William Faulkner (1932): il sud, il lavoro, la religione, il razzismo, il doppio, il senso di colpa, tutti argomenti perennemente trattati dal premio Nobel del ‘49, maestro del genere Gotico Sudista. ‘Luce d’Agosto’ è da annoverare senza ombra di dubbio tra i suoi libri migliori. Scrittura a livelli impensabili.

5)“Il giovane Holden” di J.D. Salinger (1951): un vero classico, che finalmente ho letto (e amato). Tutti si saranno riconosciuti, almeno una volta, in Holden. Un racconto on the road, per le strade di New York, davvero avanti coi tempi, specialmente per la scrittura in prima persona, volgare e anarchica.

4)“Moby Dick” Herman Melville (1951): non soltanto un romanzo che vive d’epica (l’eterna battaglia tra il Capitano Achab e la balena bianca, in primis), ma anche un trattato naturalistico, per grandi tratti, di questo fantastico ed enorme cetaceo. Un Capolavoro di quelli che andrebbero letti almeno una volta nella vita.

3)“Lonesome Dove” di Larry McMurtry (1985): un romanzo western come oggi non se ne scrivono più. L’epica fatta romanzo. L’ho già recensito qui, nell’ultimo post dell’anno passato: adieu au cinéma: LONESOME DOVE: EPOPEA WESTERN

2)“I terrestri” di Murata Sayaka (2018): un romanzo di formazione realmente anticonformista. Una geniale storia che riesce a non mostrare mai le sue carte, nel senso che il lettore non capisce mai dove l’autrice voglia andare a parare, almeno non prima della parte finale. Raramente i romanzi riescono a incollarmi alle pagine, ma se avessi potuto questo libro lo avrei letto in un giorno solo!

1)“Compulsion” di Meyer Levin (1956): il padre dei saggi true-crime. Prima di ‘A sangue freddo’ c’era ‘Compulsion’, che ispirò Hitchcock per “Nodo alla gola”. Che storia! Terribile ma affascinante. Ne parlo in maniera esaustiva qui: (5) Facebook

UNA BATTAGLIA DOPO L'ALTRA - PICCOLA ANALISI DI UN GRANDE CAPOLAVORO

0.1 Il film parte subito in quarta, spiazza lo spettatore, mostrando da una parte le azioni del gruppo rivoluzionario “French 75” di chiara ...